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Condividiamo l’articolo di Rita Balestriero per D di La Repullbica con l’intervista a Sara Baroni sulla maternità in adolescenza.

Doveva nascere il 30 giugno Edoardo, giusto il tempo di permettere a Giorgia di fare la maturità. Il test positivo, ripetuto tre volte, l’aveva fatto appena un mese prima di diventare maggiorenne e quel compleanno in famiglia se lo ricordano tutti, visto che è stato il giorno in cui ha trovato il coraggio di parlare a sua madre. Dieci minuti di lacrime e urla che sembravano non finire più e poi il clic: accogliamo, facciamo, organizziamo. La maturità, dicevamo, era stata pianificata al dettaglio: subito dopo gli scritti sarebbe stata la prima a fare l’orale. E invece Edoardo aveva fretta, è nato 15 giorni in anticipo e il weekend prima della terza prova è finito in ospedale per un’infezione alle vie urinarie. «Non so come, ma alla fine ce l’ho fatta», racconta Giorgia Messinese, che oggi di anni ne ha 29 e riesce a parlare di quel momento con una serenità conquistata crescendo insieme a suo figlio. «Ho scelto di non abortire durante il colloquio con la psicologa, al consultorio. Ma lì per lì non me ne sono resa conto, l’ho capito dopo. E di certo non avevo capito che avrei perso quasi tutte le amiche e che, da lì a poco, sarei stata per sempre prima “mamma” e poi Giorgia, perché non avrei avuto il tempo di trovare le risposte alle domande che tutti si pongono a quell’età». Eppure oggi, sui social, si definisce orgogliosamente una teen mum e attraverso Facebook ha anche creato un gruppo per giovani mamme, «perché c’è stato un momento in cui ero solo “quella che è rimasta incinta” e mi sentivo parecchio sola. Confrontarmi con ragazze che erano nella mia stessa situazione mi ha aiutata molto»>.

Martina Mott ha scoperto di aspettare un bambino il giorno della comunione di suo fratello. «Prendevo la pillola, ma l’antibiotico per la cistite ha scombussolato tutto. Non ci potevo credere, mi sembrava assurdo», racconta oggi che suo figlio di anni ne ha sette. «Avevo preso l’appuntamento per l’aborto, ma poi non mi sono presentata… la mia grande fortuna è stata avere accanto un ragazzo speciale, che poi è diventato mio marito. Però i momenti di crisi ci sono stati, il più duro quando ho dovuto capire cosa fare della mia vita perché non riuscivo a seguire l’università e dovevo trovare un lavoro che mi valorizzasse, e non solo che mi facesse comodo»>. È un racconto che torna spesso tra le mamme teenager, un po’ come se il loro bisogno di crescita entrasse in competizione con quelli del bambino. «Spesso diventa difficile fare un investimento formativo su di sé, perché è come se queste ragazze vivessero un blocco temporale nella loro vita», spiega Sara Baroni, psicologa e psicoterapeuta dell’istituto Minotauro di Milano. «A volte mi sento stanca come una cinquantenne»>, confessa Martina. «Ma al tempo stesso mi sento l’entusiasmo di una bambina e questo mi aiuta a giocare con mio figlio e i suoi amici in un modo diverso, forse più accogliente»>.

Alessandra, invece, si è sposata da poco con il papà di suo figlio. «Ma prima di questo lieto fine ci sono stati momenti duri, quasi di repulsione: mi ero sempre vista come una donna in carriera, mi immaginavo a viaggiare e dopo la nascita di Pietro temevo di non riuscire più a realizzare i miei sogni>>, racconta da Formentera, dove è andata in luna di miele. <<Poi, pian piano, ho capito che ce l’avrei fatta lo stesso: non nonostante lui, ma grazie a lui. È stato un per corso doloroso, ma lo riattraverserei tutto di nuovo»>.

Certo, queste sono storie di ragazze con famiglie accoglienti, ma la maggior parte delle mamme teenager italiane, 1086 secondo le rilevazioni Istat del 2019 (di cui 886 italiane e 220 straniere), provengono da situazioni diverse. «Il nostro è un servizio pubblico e arrivano tutte da contesti problematici», racconta Margherita Moioli, neuropsicomotricista e anima del Saga (Servizio di accompagnamento alla genitorialità in adolescenza), progetto sperimentale dell’ospedale Santi Paolo e Carlo di Milano. «L’età media delle neo mamme è 17 anni, ma le accogliamo dagli 11 ai 21. Il percorso inizia prima del parto, spesso le aiutiamo a comunicare la notizia alle famiglie e le accompagniamo durante la gravidanza che, prima dei 18 anni, rientra tra categorie a rischio per una serie di variabili riguardanti la crescita e lo sviluppo ormonale della madre». I contesti problematici a cui si riferisce Moioli sono esperienze di violenza, anche sessuale, problemi economici, ritardi nell’apprendimento, uso occasionale di droghe e, più in generale, trascuratezza genitoriale. «La gravidanza in adolescenza è quasi sempre il sintomo di un malessere e, nella maggior parte dei nostri casi, non si tratta di un errore»>. Sì, può sembrare assurdo ma in tanti confermano questa tesi. «Spesso si tratta di adolescenti in crisi, che vanno male a scuola o non trovano lavoro. Paradossalmente pensano che diventare madre le aiuterà a definirsi nella società e ingenuamente sperano che il fidanzato diventerà il partner della vita. Poi però scoprono che quel sogno di emancipazione era un miraggio e anzi, diversi studi dicono che per loro aumenta del 50% il rischio di depressione post partum, faticano a sintonizzarsi con i bisogni del bambino e tendono a percepirlo come difficile, anche se non è cosi», racconta Baroni. «È vero, alcune ragazze quel figlio lo volevano, anche se in consciamente», spiega la professoressa Cristina Riva Crugnola del dipartimento di psicologia dinamica dell’Università Bicocca, che dal 2007 si occupa del monitoraggio dei dati del Saga, per verificarne l’efficacia degli interventi. «La cartina tornasole è la non reiterazione della gravidanza nel breve periodo e la qualità del rapporto con il bambino». L’approccio innovativo del Saga sta nell’utilizzo della tecnica del video feedback. «Riprendiamo i neo genitori mentre giocano con il loro figlio e poi riguardiamo le riprese insieme, sostenendo le loro capacità e conducendo un’auto osservazione che li aiuti a capire dove possono migliorare. Poi, certo, se c’è bisogno, gli offriamo anche un supporto psicologico vero e proprio»>, spiega Moioli. L’obiettivo? «Attraverso questo protocollo imparano a chiedersi che cosa stia provando il bambino, quali sono i suoi bisogni, come cambiano nel tempo: un esercizio che gli servirà per tutta la vita e che, è dimostrato, aiuta a sviluppare relazioni migliori tra genitori e figli», precisa Crugnola.

Alla fine della lunga chiacchierata, Moioli mi racconta che qualche giorno prima è passata a trovarla in ospedale un bambino nato da una delle prime pazienti del centro. Oggi il teenager è lui, ha 14 anni, e quasi per gioco si è prestato a girare un video feed back con la sua mamma, ora trentenne. «Vederli insieme è stato molto bello: si guardavano, erano complici. Io non so cosa farà quel ragazzo nella sua vita, ma sono certa di una cosa: la sua mamma ha capito che poteva cambiare la sua storia e lui è salvo».