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Condividiamo l’articolo di Monica Serra con l’intervista a Matteo Lancini per La Stampa

Non a caso queste azioni vengono commesse nella dinamica del gruppo, che non è mai la somma dei singoli. Sempre più spesso i giovanile compiono per anestetizzare un momento di noia. Ma per lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro che da trent’anni si occupa degli adolescenti, i «social e i videogiochi non c’entrano nulla», la colpa semmai è della società e delle famiglie “che tengono “sotto sequestro” i corpi dei figli e li costringono ad adeguarsi a certi modelli. E che, soprattutto, non fanno la giusta prevenzione».

Dottore, come si spiega quel che è successo ai Murazzi di Torino?

«Episodi come questo per prima cosa rientrano nella dinamica del gruppo, che diventa tutto. È il gruppo che ti porta a fare cose che da solo non faresti. E come se a decidere fosse la mente del gruppo, che non è mai la somma dei singoli individui».

Ma che senso ha compiere un gesto di questo tipo, correndo il rischio, com’è successo, di fare seriamente del male a qualcuno?

“Queste azioni spesso hanno una funzione di anestetico alla noia difficilmente tollerabile. Commettere un’im- presa mirabolante per alzare il tiro e recuperare” lo stato del gruppo, perché si ha la sensazione che quello che si sta facendo in quel momento abbia poco senso. Poi, è ovvio, bisogna guardare alla storia dei singoli. Nel caso dei Murazzi la compagnia era composita, c’era anche un ragazzo con precedenti penali».

Ma questi giovani percepiscono i rischi delle loro azioni?

«Atti di questo tipo, come accadeva in passato con il lancio dei sassi dal cavalcavia, spesso non sono programmati, non hanno dietro una progettualità.. Nell’adolescenza esistono tante forme di sperimentazione a cui è associata una dose di rischio. Ma i ragazzi non rischiano, come molti dicono, perché si sentono onnipotenti»>.

E allora perché lo fanno?

«Penso soprattutto a chi assume comportamenti pericolosi verso se stesso. A chi per esempio va a 200 all’ora in auto e passa col rosso: l’adolescenza ti costringe a dare senso alla vita perché sai che morirai. Nei comportamenti a rischio c’è una grande componente di sfida al tema della morte che l’adolescenza mette davanti»>

I ragazzi di Torino si sono giustificati dicendo che non immaginavano di poter fare del male a qualcuno.

«Con il senno di poi, dichiarazioni di questo tipo lasciano il tempo che trovano. La verità è anche che oggi i giovani sono più fragili».

Perché?

«Mediamente c’è un’incapacità di tollerare quote di dolore anche minime rispetto alle generazioni precedenti, che crescevano in un sistema educativo molto più avvezzo alla sofferenza, dove sentirti inadeguato, solo, in famiglie del “prima al dovere e poi il piacere”, era la norma. I ragazzi oggi sono molto meno avvezzi a tollerare quei dolori mentali che l’adolescenza mette davanti».

Che ruolo ha l’incertezza rispetto al futuro?

«È fondamentale: l’assenza di prospettive è legata anche a una fragilità degli adulti che li proiettano in una società individualista e competitiva. Oggi tra i ragazzi anche l’utilizzo dei cannabinoidi, delle droghe, dell’alcol, non ha più una valenza trasgressiva-oppositiva come accadeva in passato. Diventano un antidolorifico, un modo per non pensare, per combattere la noia».

Che ruolo giocano i social, la violenza di videogiochi come Fortnite, in tutto questo?

«La virtualità in realtà è diventata l’unico luogo in cui i giovani possono sperimentare. Su internet ammazzano gente finta e, a parte casi specifici dove le problematiche sono diverse, se ne rendono. conto. La colpa qui è delle famiglie, della società che tiene il corpo dei figli sotto sequestro».

In che senso?

«La paura spinge i genitori a tenerli in casa, a impedire loro di giocare in strada, a muoversi liberamente nella società sin da piccoli, come potevano fare le generazioni passate».

Cosa si deve fare per prevenire tutto questo?

«Non ci si deve limitare a dare informazioni ai ragazzi, si deve parlare con loro. Par lare di morte, di suicidio, di fallimenti, di dolore. Spiegare loro che significato ha la vita nonostante si debba morire. E imparare ad ascoltarli davvero».