Condividiamo gli interventi di Matteo Lancini e Anna Arcari su Avvenire sulle crisi evolutive degli adolescenti odierni.
Colpa della pandemia, se sono pieni di sofferenza e di rabbia. Colpa della Dad, se vanno male a scuola. Colpa di Internet, se smettono di mangiare, si riempiono di tagli o arrivano – tragedie insopportabili e sempre più frequenti – a impiccarsi nelle loro camerette. Il ritornello degli adulti sugli adolescenti si ripete uguale a se stesso: dipende da altro, il loro malessere. E poco importa se tutte le ricerche, i dati e gli esperti ci restituiscono una fotografia drammatica dello stato della loro salute mentale: i ragazzi-ma anche i bambini, spesso già a 8 o 9 anni-affollano le neuropsichiatrie degli ospedali di mezza Italia e intasano i call center di consultori e centri d’aiuto, ma la nostra priorità resta “scaricare” le responsabilità là fuori, nel mondo, ovunque essa possa esplodere senza fare troppo danno (tranne che a loro).
Non sono onnipotenti. Ai genitori in cerca di ricette su «cosa dobbiamo fare coi nostri figli» lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro di Milano (uno fra i più grandi centri d’Europa nella gestione e nella presa in carico del disagio adolescenziale) risponde così: «Realizzare che quello che sta succedendo dipende innanzitutto da noi. Da come, cioè, abbiamo costruito il mondo in cui i piccoli sono chiamati a vivere, dalle cose che ci abbiamo messo dentro e che a seconda di come e quando ci fa comodo per stare tranquilli gli rendiamo disponibili o gli vietiamo. «Li vogliamo autonomi, fin dalla più tenera età, ma poi non gli permettiamo di tornare a casa da soli. Li inseriamo in mille attività, programmando al secondo la loro giornata, ma quando iniziano ad andare a scuola li rinchiudiamo in camera chiedendogli di imparare a ripetere le lezioni con cui dimostreranno di andare bene a scuola. Gli affibbiamo Internet come scorta – spiega Lancini -,noi adulti abitiamo la rete e i social 24 o re su 24, ma se poi ne fanno uso in maniera smodata ecco che spunta l’allarme della dipendenza». Dipendenti loro, in un mondo dove tutto avviene in rete: la prima bufala da smascherare. Insieme all’altro falso mito diffuso in maniera martellante durante il lockdown-che siano onnipotenti, gli adolescenti, che si sentano liberi di fare tutto quello che vogliono (sottinteso: a spese degli adulti): <<Falso – continua Lancini -, sono fragili come cristalli, terrorizzati, talmente preoccupati di non essere all’altezza delle aspettative altissime che abbiamo su di loro da restare quasi paralizzati: lo dimostrano, infatti, infierendo sul proprio corpo, cioè contro se stessi, in un dolore muto a cui non riescono a dare nome e di cui, non parlano con noi per paura di farci soffrire»>. Perché anche noi siamo fragilissimi, e loro lo sanno.
Non è colpa di Internet. Prima ricetta allora: sgomberare il campo dalle fake news sui nostri figli (il libro di Lancini in uscita il prossimo 18 novembre con Cortina si intitola proprio così: L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti). E rimetterci davanti a loro, nella “famosa” tavola serale evocata da tanti psicologi e in cui il cellulare dovrebbe essere idealmente bandito (ma che senso ha bandirlo mezz’ora e poi far finta che non lo usino per il resto della giornata?), <<non chiedendogli come è andata a scuola, ma su Internet o in chat con gli amici»>, <<non facendo finta che non sono tristi, o annoiati, ma cercando di capire che cosa li fa soffrire». Mettere in primo piano il disagio, invece che nasconderlo sotto lo zerbino. Rimettere il dolore e anche la morte, se serve, nei discorsi che facciamo con loro. E togliere “le colpe” della rete: <<Non sono tristi per colpa di Internet». Ancora: «Non si fanno del male e non si suicidano per colpa delle “challenge”. Se troviamo queste scuse, non capiremo mai il senso del loro disagio»>. Serve una nuova cultura dell’adolescenza, e non solo a casa: dei ragazzi, con la loro fragilità, deve farsi carico la scuola dimenticandosi per sempre di chiudere, anzi aprendo, «<24 ore su 24, non importa con quali modalità di presenza, ma sicura mente collegandosi anche lei a Internet, cioè andando oltre un intervento educativo che abbia come unico obiettivo quello di vietare il cellulare e la play station»> continua Lancini. Perché anche qui: se i ragazzi al pomeriggio stanno al centro commerciale, con lo smartphone in mano a guardare video, è per ché non abbiamo costruito (o non abbiamo più valorizzato) spazi dove permettergli di costruire il loro futuro. E anche la politica dovrebbe fare la sua parte: responsabilizzandoli, creando già dai 18 anni dei per corsi decisionali a loro dedicati facendoli sentire «convocati. Che è quello di cui hanno bisogno per capire che ci sono, che sono qualcuno, che hanno un ruolo e un senso nel mondo che sono destinati ad abitare (e a cambiare).
Non sono malati. Altro passo da compiere, quando si realizza che un figlio è in crisi, è chiedere aiuto. Partendo dal presupposto – rivoluzionario in una società dove il disagio è subito patologizzato – che se è depresso, se soffre di ansia e attacchi di panico, se ha scatti di rabbia o ha smesso di mangiare «non è malato. La sofferenza non è quasi mai il segnale di una psicopatologia, ma di disagio»>. Non è malato, un adolescente in crisi, e alla fine di un percorso di aiuto e di supporto non guarirà, <<semplicemente imparerà a gestire meglio quel disagio»> continua Lancini. Minotauro – che a Milano coi ragazzi lavora dal 1984 con un Centro clinico di consultazione e psicoterapia, centinaia di progetti di prevenzione e interventi nelle scuole, laboratori, officine e anche una Scuola di specializzazione in psicoterapia per l’adolescente – lavora a stretto contatto con le famiglie per rimettere nei binari le vite dei loro figli. I genitori sono protagonisti del percorso, principali coterapeuti: quello che deve cambiare è la cultura educativa che si muove attorno ai ragazzi, «che chiedono d’essere amati dalla loro mamma e dal loro papà prima di tutto, non dallo psicologo», Spazi per imparare a farlo servono drammaticamente al nostro Paese dopo la pandemia: «Servono sportelli di ascolto, figure di sistema nelle scuole», è l’appello di Lancini. La sfida per il futuro della “next generation” si gioca tutta qui. «Ma qualcuno se n’è accorto?».
ESEMPI DI TOLLERANZA PARTENDO DAI NOSTRI LIMITI – Anna Arcari
«Quanto più il contesto sociale è complicato tanto più la sofferenza dei ragazzi si manifesta con comportamenti patologici. Nell’ultimo decennio è molto cambiato il modo di manifestare il dolore. Il bullismo nasce dalla difficoltà di interpretare il compito di diventare grandi e sulla promessa di essere felici ad ogni costo. Si è messa da parte l’idea dell’impegno da cui derivare risultati e successi. Le famiglie si sono trasformate da istruttive a sponsor dei figli. Così alle prime delusioni il crollo è inevitabile perché scatta la “fragilità narcisistica”. Che vuol dire non riuscire a crescere, sentirsi inadeguati, costringersi a fare qualcosa per sembrare grandi, potenti, ma anche prepotenti. Atteggiamento che fa immediatamente scattare negli adulti un cambio di registro educativo: dal sostegno indiscriminato alla punizione vecchia maniera che i ragazzi non riescono a comprendere. La reazione è immediata. I ragazzi non si fidano più degli adulti, si chiudono, mostrano aggressività verso se stessi e verso gli altri. Come reagire? Diamo ai nostri ragazzi esempi di incontro e di tolleranza, partendo dai nostri limiti. Ma allo stesso tempo, come educatori, adeguiamo le nostre conoscenze e diamo più forza alle reti di collaborazione tra adulti>>.