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Condividiamo l’intervista di Gianfranco Brevetto a Matteo Lancini per exagere.it in occasione dell’uscita del nuovo libro scritto con Cirillo, Scodeggio, Zanella intitolato “L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva”, edito da Raffaello Cortina

L’adolescenza ha oggi, più che in passato, assunto caratteri suoi propri. L’adolescente appare, ai più, una figura complessa, isolata, a volte imperscrutabile. Da più di trent’anni l’Istituto Minotauro di Milano lavora sui temi relativi a questa fase della vita. L’esperienza dei modelli di consultazione e di presa in carico, sviluppati dall’Istituto, sono ora raccolti nel libro L’adolescente (Cortina Editore). Il professor Matteo Lancini è uno degli autori di questo interessante volume.

– Professor Lancini, per anni la pratica e la ricerca in campo psicologico hanno, in qualche modo, sottovalutato l’adolescenza, concentrandosi maggiormente sull’infanzia e sugli adulti. Perché questo squilibrio?  

– Sono tanti i motivi. Forse in Italia, per quanto riguarda la clinica, paghiamo il fatto che la neuropsichiatria infantile è più orientata a una formazione sui bambini e gli adulti, sono sempre mancati dispositivi di diagnosi, consultazione e psicoterapia mirata all’adolescenza. Per quanto riguarda la scuola, una riforma della scuola secondaria di secondo grado, che sarebbe necessaria e reale, e non di facciata, non è mai stata fatta. Interessa poco ai politici, è una fascia di età che passa in fretta e in cui non si vota. Anche nella psicanalisi, la nostra disciplina, arriva dopo: Anna Freud la considera la cenerentola della psicanalisi.  All’interno dell’Istituto nel quale lavoro, a un certo punto, ci siamo chiesti se non meritasse un’attenzione specifica.

– Qual è stato lo spunto?

– È evidente che esiste un’emergenza educativa, che siamo di fronte ad una precocizzazione, adultizzazione dell’infanzia a cui segue un’infantilizzazione dell’adolescenza. E questo deriva dal fatto che è stato più facile, ed è sotto gli occhi di tutti, modificare i modelli educativi, i miti affettivi, familiari e sociali che hanno fatto da cornice alle nuove infanzie precocemente adultizzate, spinte a dire sempre la propria. Ma si fa fatica, a livello di scuola e di famiglia, a riorganizzare, questo dispositivo con l’arrivo dell’adolescenza. Si tende a infantilizzare l’adolescenza dopo aver adultizzato l’infanzia. Questa è una delle questioni che non ha funzionato in questi anni. Penso che gli adulti abbiano perso molta autorevolezza, sia in famiglia che a scuola.

– È molto interessante quanto lei dice, ma perché sta accadendo?

– Perché gli adulti utilizzano dispositivi poco identificati con il funzionamento affettivo, relazionale, psichico, delle nuove generazioni. Quando arriva l’adolescenza si rieditano slogan come i no che aiutano a crescere, quasi ci si trovasse di fronte a un soggetto vecchio stampo invece, nel frattempo, l’adolescenza è mutata. In una società di iperideali, l’adolescente non è più trasgressivo, si cresce per delusioni. Questa età meriterebbe istituzioni che fossero autorevoli e dispositivi psicologici e psicoterapeutici adatti alle nuove generazioni, che sono appunto le generazioni narcisistiche non più edipiche.

– Nell’immaginario collettivo l’adolescenza è spesso legata a spensieratezza, allegria, invece, nella realtà, ci troviamo di fronte a disagio, crisi, sofferenza. Lei parla di dolore evolutivo.

– Sono diversi i modi di guardare alla sofferenza degli adolescenti, il nostro modello vede nel blocco della realizzazione dei compiti evolutivi, nella crisi evolutiva, il centro del disagio adolescenziale. Non si tratta, quindi, di una sofferenza dettata solo dal passato come era nelle teorie del trauma, ma che deriva dal sentirsi bloccato rispetto alla realizzazione dei compiti evoluti. Oggi le sofferenze dei ragazzi riguardano prevalentemente problematiche inerenti all’insuccesso, mentre in passato le cause erano prevalentemente nevrotiche o quelle classiche del soggetto edipico, di conflitto tra l’Io e il Super io, nell’età in cui dovevi finalmente esprimere la sessualità in una società sessuofobica, repressa. Il tema del conflitto delle nevrosi dell’impossibilità di esprimere il proprio desiderio era quindi espresso con un attacco all’altro, con un’opposizione, con una trasgressione.

– E oggi?

– Oggi i disagi prevalentemente attaccano il sé, il conflitto è tra aspettative ideali molto elevate, che si creano con la società del narcisismo, della popolarità di internet, del successo a tutti costi, del mito familiare del figlio unico, del bambino d’oro e via dicendo che crollano con l’arrivo del corpo dell’adolescente. Abbiamo dei disagi e delle sofferenze derivano da una società iperideale e riguardano più l’attacco al corpo, quindi tentativi di suicidio, disturbo della condotta alimentare, gli hikikomori e via dicendo.

–  All’adolescenza viene sempre più spesso associato il termine depressione. Cosa sta accadendo?

– Sono altri che sostengono che gli adolescenti sono depressi non noi. Premesso che qualche aspetto depressivo nella vita tutti lo devono elaborare: nasciamo ed è tutto un processo separativo fino alla morte, noi parliamo di una depressione di stampo narcisistico, che è molto diversa da quella che il nostro linguaggio intende. L’adolescente non è un depresso, l’adolescente ha delle aspettative ideali che molto spesso che lo portano ad un conflitto tra queste aspettative. Parlavo prima della precocizzazione, se uno attende un corpo magnifico e poi gli arriva il corpo dell’adolescente col quale devi fare i conti. Occorre considerare comprendere che le fattezze non te le scegli sui giornali, ma te le dà Dio o madre natura. La depressione narcisistica nasce dl fatto che occorre affrontare delle quote di delusione riguardo ai modelli di riferimento.

– Prima ci ha accennato alla violenza in età adolescenziale. Ci aiuti a comprendere meglio.

– Si tratta di violenza sempre più rivolta al sé che all’altro. Sì c’è qualche tema come il cyber bullismo, ma è molto legato ad un senso di fragilità che si mette a tacere attaccando l’altro oppure recenti episodi di esasperazione in fase di uscita dal lockdown. Ma, gran parte dei disagi odierni dei ragazzi, non sono nella violenza contro gli altri ma contro se stessi. I più grandi disagi dei giovani nella nostra civiltà sono il disturbo alimentare, che è una forma di attacco al corpo fino a scheletrizzarlo delle femmine, oppure il ritiro sociale, che è un suicidio sociale dal momento in cui dovresti nascere socialmente. Parliamo di gesti autolesivi, il self cutting, i tentativi di suicidio, una violenza perpetrata verso il proprio corpo che non è mai all’altezza delle aspettative. Il corpo viene continuamente manipolato, si pensi ai tatuaggi, piercing, come se questo corpo non andasse mai bene.

– Lei prima accennava al lockdown e ad alcuni episodi di violenza in estate. Come gli adolescenti stanno vivendo questo periodo che appare difficile per tutti?

– Questi episodi estivi vanno visti anche in relazione all’attenzione massmediatica che hanno avuto, non è che, durante l’estate scorsa, non vi fossero risse o omicidi. Feste, discoteche, consumi di sostanze aumentano i rischi. A me preoccupa altro. Credo che vedremo dei risultati molto negativi sulle nuove generazioni, non tanto per come vivono, o hanno vissuto, il lockdown , io ritengo che il vero problema siano i modelli di identificazione che gli adulti hanno proposto. I modelli di identificazione sono tutti e non solo i social o internet, sono gli influencer, sono i virologi, i politici, sono tutti gli adulti e i loro comportamenti. Una delle questioni centrali è che la società del narcisismo ha lasciato spazio alla società dove l’assunzione della responsabilità non esiste. Una società dove i ragazzi hanno alzato gli occhi e hanno visto quella che noi definiamo da tempo la società pornografizzata, dove il limite tra ciò che è pubblico, e ciò che è intimo, è venuto meno. Dove ciò che conta è fare audience, i likes, i followers, non l’assumersi delle responsabilità.