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Condividiamo l’intervista a Matteo Lancini per il Corriere della Sera

Qual è il significato del video postati in rete di persone che compiono reati?

«Sono il frutto di una società pornografizzata in cui il confine tra esperienza pubblica e privata è venuto meno. Il sé viene prima di tutto e il singolo conta più del rispetto dell’altro e si mescola alla società onlife, in cui non c’è distinzione tra vita reale e virtuale, per cui ogni cosa che accade siamo soliti immortalarla per poi metterla subito online».

Cosa ci spinge a postare tutto quello che accade?

Il fatto che ci si racconta che quello che stiamo facendo, anche pubblicare le facce di minorenni, lo facciamo per il bene di tutti. In realtà lo facciamo per noi stessi, per la sete di follower e like. Prima dell’arrivo del social network non avremmo mal agito così.

In che senso?

Prima di Internet e dei social network, se fossimo stati testimoni di un reato saremmo andati dalle forze dell’ordine e avremmo fatto una denuncia o almeno consegnato alla polizia il materiale. Oggi, invece, postiamo tutto sugli account.

La gente lo fa per esasperazione, secondo lei?

Probabilmente si. E io comprendo l’esasperazione ma, facendo un discorso più generale. dobbiamo tomare a fare i conti con l’idea che ci sono delle regole che, anche se non ci piacciono, vanno rispettate. Questi video cosa sono, un modo per avvertire gli utenti che c’è un pericolo o sono altro? Perché se sono, ad esempio, una forma di giustizialismo individuale da perseguire al fini della propria popolarità allora dobbiamo ammettere che non giovano a nessuno.

A che cosa porta Il voler avere a tutti i costi un seguito?

Nel recente passato abbiamo avuto esempi plastici di cosa questo comporti. Ad esempio, in epoca post Covid ci sono state attraverso i social convocazioni di gruppi nutriti di adolescenti che si trovavano per dare vita a delle finte risse. Il tutto per del likes.