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Condividiamo l’articolo di Cristina Marrone per Corriere.it con l’intervista a Laura Turuani sull’iperutilizzo di internet in epoca di pandemia.

Sulle colonne del New York Times Keith Humphreys, professore di psicologia alla Stanford University ha avvertito: «Dobbiamo aspettarci un periodo di dipendenza digitale «epico», riferendosi a tutti quei bambini e adolescenti che hanno trascorso un anno di pandemia passando dal pc, al tablet alla play station fino allo smartphone, perennemente connessi. L’articolo, a firma di Matt Richtel, comincia raccontando l’angoscia di un padre pentito di non aver badato troppo al tempo trascorso dal figlio attaccato ai vari dispositivi elettronici nei mesi di pandemia. Quando il ragazzo 14enne, durante una discussione, lo ha supplicato di non limitargli l’accesso allo smartphone perché il telefono «è tutta la sua vita» quel padre si è disperato pensando di aver sbagliato tutto.

Briglie sciolte

Del resto i genitori di tutto il mondo dall’inizio della pandemia hanno allentato le restrizioni ai dispositivi elettronici, perché sono diventati (in particolare durante il primo lockdown) l’unico contatto con il mondo esterno, unica via di socialità, dalla scuola ai giochi online con gli amici. La dottoressa Jenny Radaesky, pediatra dell’Università del Michigan, che si occupa del rapporto tra bambini e tecnologie, ha spiegato di aver più volte rassicurato i genitori attraverso i media americani dicendo di non sentirsi in colpa per aver concesso molte più ore di attività online, date le enormi limitazioni dovute alle chiusure, ma di essersi poi pentita di questa «assoluzione», quando è stato chiaro che i blocchi sarebbero durati a lungo e i ragazzi sono alla fine rimasti rinchiusi per molti mesi. «Probabilmente avrei incoraggiato le famiglie a disattivare il wi-fii tranne durante l’orario scolastico in modo che i ragazzi non si sentissero tentati dalla Rete ogni momento, giorno e notte. Più a lungo si protrae questa abitudine, più difficile sarà romperla» ha detto.

La nuova normalità

Ma come sarà allora il ritorno alla normalità? Davvero i nostri ragazzi diventeranno dipendenti da un mondo virtuale rischiando di trovare difficoltà nel tornare ad avere relazioni di persona, senza la mediazione di uno schermo? «Sinceramente non possiamo pensare che la vita dei nostri figli possa essere priva di Internet. Ormai non esiste più la distinzione online-offline in termini di spazio, tempo e luogo. L’unico ambiente rimasto offline purtroppo è proprio la scuola, a parte poche eccezioni per volontà e inventiva di alcuni insegnanti, pertanto sconsiglio di concedere Internet solo per la didattica a distanza» suggerisce Laura Turuani psicologa e psicoterapeuta del centro Minotauro di Milano, che si occupa di disagio adolescenziale e dipendenze. «Non dimentichiamoci che proprio Internet, che personalmente ricandiderei al premio Nobel, ci ha salvati soprattutto nella prima fase di pandemia perché è grazie alla Rete che abbiamo potuto continuare a lavorare, a vedere film, a studiare, a fare sport e soprattutto a mantenere la nostra socialità con giochi, videochiamate, chat. L’uso intelligente della Rete è l’obiettivo di questa generazione che ha acquisito rapidamente grandi competenze».

Il tempo di connessione

Le piattaforme tecnologiche hanno rimpiazzato il tempo che bambini e ragazzi dedicavano allo sport e all’incontro di amici. Gli impianti sportivi sono chiusi, così come gli oratori, importante luogo di aggregazione in Italia. A scuola si va a singhiozzo, in base al colore della Regione e alle decisioni dei singoli governatori. I ragazzi, dopo un primo momento di smarrimento, si sono però organizzati. In quanti non hanno osservato stupiti i propri figli con almeno due dispositivi in mano: uno per giocare online con gli amici e l’altro con telecamera per vedere, almeno a distanza, gli stessi amici con cui si stava giocando? È certamente vero che bambini e adolescenti hanno passato molto più tempo davanti ai video. Secondo Qustodio, un’azienda che monitora decine di migliaia di dispositivi utilizzati dai bambini dai 4 ai 15 anni in tutto il mondo, il tempo trascorso davanti agli schermi è raddoppiato rispetto al periodo pre pandemico e la tendenza è simile con la visione di YouTube. Schiere di decenni hanno scaricato giochi come Fortnite, app come TikTock, Snapchat o Roblox, applicazione particolarmente in voga tra i 9 e i 12 anni che permette di creare propri mondi virtuali dove si può scegliere chi fare entrare. Molti bambini hanno ricevuto uno smartphone in regalo in anticipo rispetto ai tempi, proprio per aver accesso a tutte queste opportunità, senza rubare i dispositivi a mamma e papà. Effetto Covid.

A chi gare attenzione

Ma questa scorpacciata di giochi online, social e didattica a distanza rischia di creare una forte dipendenza tra i più giovani? «Partiamo da un presupposto – chiarisce Turuani – quando vediamo tra i ragazzi inquietudine, noia, rabbia, disattenzione è un segno positivo: vuol dire che non vedono l’ora di tornare alla vita reale a cui erano abituati. E lo faranno appena gli adulti avranno le idee più chiare che non solo certe attività si possono fare, ma anche che non sono pericolose. Piuttosto bisogna preoccuparsi di chi in questa pandemia con tutte le limitazioni che comporta sta bene ed è appagato e di chi è ripetitivo e solitario nelle attività, come ad esempio chi gioca sempre da solo a un unico gioco. Ma è verosimile che siano fragilità precedenti all’era Covid, del resto gli “hikikomori” sono andati meglio nell’ultimo anno perché non si sentivano così diversi e meno adeguati. Saranno loro a far più fatica a ripartire». Con le piazze e i parchi pieni non appena le Regioni sono diventate gialle è sotto l’occhio di tutti che anche i ragazzi hanno voglia di normalità. «È necessario che le mamme siano pronte a non spaventarsi del desiderio dei propri figli adolescenti di voler stare a lungo fuori di casa — raccomanda la psicoretapeuta —.Va invece sostenuto il bisogno innato di muoversi e di fare esperienza, dando spazio alla voglia di rinascita ricordandoci che gli obiettivi più elevati dell’educazione familiare sono autonomia e responsabilità».

Fonte: Corriere.it