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Condividiamo l’intervista di Sabina Pignataro a Matteo Lancini per vita.it

Tapparelle abbassate, solo la luce azzurrina del computer sempre acceso, scambia il giorno per la notte, non si lava e ha coperto gli specchi. Con un temperino ha scavato una piccola feritoia sotto la porta, da lì una madre sempre più sofferente gli passa i pasti e cerca di capire chi sia suo figlio.
Ogni storia è a sé, ma le storie dei ragazzi Hikikomori somigliano parecchio a questa. In Italia sono circa 54mila gli studenti italiani di scuola superiore che si rifugiano nella loro stanza e tagliano i ponti con il resto del mondo (in una situazione di ritiro sociale). Lo certificano i dati del primo studio nazionale condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr è stata promossa dal Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada. che ha stimato a livello quantitativo l’isolamento volontario tra la popolazione studentesca.

Per capire meglio questo fenomeno, che cresce anche nel nostro Paese, ne abbiamo parlato con Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta presidente della Fondazione Minotauro (Centro clinico di consultazione e psicoterapia), psicologo, psicoterapeuta e tra i maggiori studiosi del fenomeno del ritiro sociale. Nel libro “Abbiamo bisogno di genitori autorevoli” (Mondadori, 2017) dedica tre capitoli al tema.

Professor Lancini, spesso si pensa agli Hikikomori in modo superficiale, come ragazzi viziati o “flippati” di videogiochi e internet. In realtà il profilo è diverso. Sono persone molto promettenti, con capacità brillanti. È così? Cosa li spinge a diventare Hikikomori?
Il fenomeno del ritiro sociale si sta diffondendo in modo sempre più articolato e variegato e, per questo, risulta sempre più difficile tracciare un profilo valido per tutti. In linea di massima si può comunque parlare di un fenomeno che, ancora oggi, è prevalentemente maschile, di ragazzi che non hanno disturbi specifici di apprendimento e che si ritirano dalla scuola e dalla società, in preadolescenza o adolescenza o all’inizio della giovane età adulta, perché sperimentano un senso di inadeguatezza e fallimento rispetto alle aspettative interiorizzate durante l’infanzia. Lo sguardo di ritorno dei coetanei a scuola e la competitività serrata che la società adulta alimenta ogni giorno promuovono un senso di vergogna e di impresentabilità, che li spinge a ritirarsi e a suicidarsi socialmente, nel momento in cui bisognerebbe, invece, nascere socialmente. I ragazzi e le ragazze che si ritirano sono persone in difficoltà e sofferenti, le altre definizioni servono agli adulti per liberarsi la coscienza dalle proprie responsabilità, dai modelli che ogni giorno a scuola, in famiglia e nei mass media proponiamo alle nuove generazioni.

Internet è uno strumento di difesa per loro. Né un nemico, né una causa. È d’accordo con questa affermazione?
Sfido chiunque abbia incontrato almeno un ragazzo ritirato socialmente a non essere d’accordo con questa affermazione. Internet è una difesa, una forma di automedicazione, scongiura il rischio di un breakdown psicotico nel momento in cui il dolore è talmente pervasivo da non riuscire a essere espresso e dunque rischia di farti impazzire. Chi sostiene che sia la dipendenza da internet a impedire ai ragazzi ritirati di frequentare la scuola e il mondo o non ha incontrato un numero sufficiente di ragazzi e ragazze con questa problematica o è incapace di identificarsi con il dolore e il funzionamento affettivo, psichico e relazionale degli adolescenti che incontra. Chi toglie forzatamente Internet ai ritirati sociali, si assume una responsabilità enorme. In alcuni casi, sono certo, l’intervento privativo di videogiochi ed esperienze mediate da internet, da parte dell’adulto, ha contribuito ad un aggravamento, a volte drammatico, dello stato di salute mentale del giovane figlio, studente, paziente.

Internet è una difesa, una forma di automedicazione, scongiura il rischio di un breakdown psicotico nel momento in cui il dolore è talmente pervasivo da non riuscire a essere espresso e dunque rischia di farti impazzire.

Nel suo libro lei scrive che «il mancato utilizzo di internet è una condizione diagnosticamente sfavorevole». Ci spiega?
I ritirati sociali più gravi, quelli con difese più primitive e arcaiche, coloro che fatichiamo di più ad aiutare non utilizzano in alcun modo internet o, al massimo, utilizzano la Rete in modo individuale, senza avviare e mantenere alcun contatto con altri. Internet rappresenta l’unica possibilità di accesso al sapere, di esprimere i propri stati d’animo, tristezza e rabbia, di mantenere qualche relazione umana, a parte quella con la propria mamma e il proprio papà, sempre che ci siano ancora relazioni con loro e che il ritiro non sia diventato talmente severo da indurli a chiudere la porta della propria stanza ed asserragliarsi dentro. I ritirati sociali più gravi non usano internet e non riescono a fare la maturità. Anche la scuola deve fare la sua parte, individuando come promuovere gli apprendimenti e il successo formativo in ragazzi che in classe non torneranno più. Nei prossimi anni, una scuola davvero inclusiva dovrà prevedere come far terminare il percorso di studi anche a chi non frequenta.

Internet rappresenta l’unica possibilità di accesso al sapere, di esprimere i propri stati d’animo, tristezza e rabbia, di mantenere qualche relazione umana,

Nel suo libro scrive che “Il ritiro scolastico e sociale rappresenta, in qualche modo, l’equivalente maschile del disturbo della condotta alimentare femminile”. L’analogia con il Giappone sta nel rapporto molto esclusivo con la madre e l’assenza emotiva del padre. Di solito interessa i maschi, le ragazze sviluppano più facilmente l’anoressia. Quello che hanno in comune è l’annullamento del corpo, in un caso nascondendolo, nell’altro “riducendolo”. Potrebbe commentare?
La vicenda è alquanto complicata, anche perché, come ho già detto, oggi le forme del ritiro sono molteplici e il significato molto diverso a seconda delle situazioni. L’anoressia rappresenta da decenni la modalità espressiva elettiva del disagio evolutivo femminile. Il ritiro sociale rappresenta, e rappresenterà ancora nei prossimi anni, insieme ai tentativi di suicidio, la modalità elettiva di espressione del disagio giovanile maschile. Da una parte, l’anoressica, una femmina che nega tutto ciò che esprime, e di cui necessità, il corpo e raggiunge straordinari risultati a scuola e nella società. Dall’altra parte il ritirato, un maschio che nega ogni tratto della propria fisicità, che si suicida e fallisce socialmente e che diventa un casalingo, un soggetto domestico.

Secondo la ricerca del CNR, grandi differenze di genere si rivelano nella percezione del ritiro – i maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, ma le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori – così come nell’utilizzo del tempo, con le ragazze più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i ragazzi al gaming online. Cosa dice la sua esperienza?
Che al netto degli stereotipi di genere, le ragazze hanno maggior capacità introspettiva e tendono a nominare di più il dolore, a percepirsi come sofferenti e a dirsi preoccupate per il loro stato affettivo e mentale. Questo non significa che i ragazzi soffrano di meno, anzi. Il gioco on line, inoltre, rappresenta l’ancora di salvezza dei maschi che si ritirano, l’unico luogo dove possono incontrare dei veri amici. Tendenzialmente, le ragazze prediligono altre forme di intrattenimento. Non dimentichiamo, però, che esistono in Italia molte più donne gamer di quello che solitamente si pensa.

Il ritiro scolastico e sociale rappresenta, in qualche modo, l’equivalente maschile del disturbo della condotta alimentare femminile

Le indicazioni che si desumono dalla ricerca sono preziose e chiare: la necessità di una collaborazione tra scuola, famiglie e servizi socio-sanitari pubblici e del privato sociale per intercettare il fenomeno precocemente, in particolare durante il primo biennio delle superiori. L’obiettivo rimane un intervento volto ad aiutare questi ragazzi a sentirsi autorizzati a partecipare a quel mondo che si sentono di poter guardare solo affacciati ad una finestra virtuale. Come si fa?
Come si sta già provando a fare da anni in moltissime esperienze a cui partecipo. Molte sostenute, ad esempio, dalla Regione Emilia Romagna, la quale oltre ad aver redatto e finanziato un piano adolescenza, propone linee guida per la prevenzione e la presa in carico interdisciplinare del ritiro sociale maschile e femminile. Gli interventi devono essere organizzati territorialmente, devono puntare alla costruzione di una rete multidisciplinare e interistituzionale, a cui le scuole pubbliche devono partecipare. Aiutare un adolescente richiede sempre un intervento sinergico di tutti i ruoli adulti, immaginiamo quanto conto in una situazione così complessa e dolorosa come quella del ritiro scolastico e sociale. Il tema, tra l’altro, riguarda anche la dispersione scolastica in senso ampio e il fenomeno dei Neet. Quando tutte le istituzioni scolastiche, i genitori e i politici della nostra nazione si convinceranno che bocciare alle secondarie di primo grado e nel biennio delle secondarie di secondo grado, non solo non serve a niente e a nessuno, ma contribuisce ad alimentare la dispersione scolastica, il ritiro e le devianze giovanili, i tentativi di suicidio, sarà, comunque, troppo tardi. “Ai miei tempi un 2 non ha mai fatto male a nessuno”, “ai miei tempi fioccavano i 4 e le bocciature e non erano certo un dramma”. Ecco, appunto, ai tuoi tempi.

Bocciare alle secondarie di primo grado e nel biennio delle secondarie di secondo grado, non solo non serve a niente e a nessuno, ma contribuisce ad alimentare la dispersione scolastica, il ritiro e le devianze giovanili, i tentativi di suicidio.