Condividiamo l’intervista di Francesca Del Vecchio a Matteo Lancini per La Stampa.
Quanta credibilità vuole che abbia un adulto, che ha appena smesso di postare selfie su Instagram e chattare su whatsapp, che dice al proprio figlio di piantarla con i videogiochi o con TikTok perché gli fa male? Glielo dico io, nessuna». Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro, non è la prima volta che si esprime in questi termini sul tema giovani e smartphone: è convinto che attribuire tutta la colpa a internet o alla tecnologia sia una semplificazione. Anzi no: <<Una deresponsabilizzazione>> da parte degli adulti. La sua riflessione parte dall’interrogativo posto dal quotidiano economico britannico Financial Times nell’articolo “What will it take to get Gen Z watching sport?” (“Cosa convincerà la Generazione Z a tornare a guardare lo sport?”) in cui viene fotografata una realtà di giovani che alla partita di football live preferiscono gli highlights. Più rapidi, più immediati.
Questo perché, Lancini?
Se oggi, a una conferenza di adulti, leggi la tua relazione per 40 minuti, la metà della sala si alza e se ne va. Nessuno ti dice più “Che bello, molto interessante”. Per cui, i ragazzi sono educati dal modello genitoriale, dal modello adulto. E il loro tempo di attenzione si è solo adattato alla società che li circonda: non si guarda più Bambi, che durava 1 ora, ma dei mini cartoni di pochi minuti in cui una maialina antropomorfa deride il papà e il fratello (Peppa Pig, ndr).
Quindi è o non è un problema?
La premessa è che ci sono ancora studi in corso. I dati non sono a senso unico e ci sono quelli più e quelli meno catastrofisti. Quello che mi pare evidente è che attribuire tutta la colpa a internet, ai social, alla tecnologia non aiuti a individuare le cause di un problema che certamente c’è.
Lei come la vede?
Negli ultimi anni si è molto diffusa questa narrazione secondo cui tutto ciò che accade ai giovani è colpa dell’uso che fanno di internet. Credo, invece, che la colpa sia dell’uso che i genitori fanno del mezzo.
Si spieghi meglio…
Gli highlights di sport: piacciono anche agli adulti. Io ne sono un grande fruitore perché ho poco tempo. Ma se sono il primo a usufruirne, come posso dire a mio figlio di non farlo, di godersi un’intera partita che dura un’ora e mezza? Noi siamo i primi a vivere attaccati al cellulare. Non siamo credibili.
Dunque è una questione di modelli educativi?
Non solo. Si tratta di qualcosa che ha a che fare con l’individualismo. Se un genitore va al ristorante, piazza il bambino di 3 anni con il tablet sintonizzato su Youtube perché non disturbi, il problema non è solo il tablet. Ma il genitore che non è disposto a rinunciare a nulla della sua vita pur sapendo che il bambino si annoierà e che quindi ha bisogno di un intrattenimento. A mio avviso, il problema è che i bambini non sono più il centro. I protagonisti vogliono essere i genitori. Quanto alla noia, poi… non ne parliamo.
Cioè?
Le “agende” dei bambini di 7 anni sono pienissime: scuola, corso di nuoto, corso d’inglese. Socialità a mille. La noia e la solitudine, che una volta erano uno stimolo educativo, sono completamente bandite.
Quindi è di nuovo colpa degli adulti?
E di chi, altrimenti. La mia sensazione è che molte novità della società riguardino proprio l’adattamento con cui i grandi crescono i figli utilizzando quegli stessi mezzi, che a parti invertite criticano. Internet ha cambiato l’approccio da parte dei genitori che non si preoccupano di capire se i bambini si stanno adattando ma vogliono educare e basta. Per questo, non sono credibili e i giovani cercano in internet modelli più credibili.
La società dovrebbe prendere coscienza di questo nuovo assetto?
Il cambiamento riguarda tante cose: il lavoro, il sesso, i rapporti umani. Per questo dire che internet è il “grande distrattore” è una semplificazione comoda per gli adulti. Non esiste una sola variabile isolabile nell’analisi di questo fenomeno. Esiste un metodo che è quello di aiutare i giovani e seguirli nell’adattamento. Oppure rinunciare in prima persona all’uso della rete. Ma nessuno di noi è disposto a farlo.
Quindi a che età è “giusto” che un adolescente possieda uno smartphone?
Non c’è un’età giusta e una sbagliata. Tutti i giovani sono diversi tra loro. Codificare l’età perfetta è di nuovo una scappatoia per i genitori, una soluzione per tranquillizzarli di aver fatto bene il loro dovere. Certamente, non gli si può vietare il cellulare a scuola se poi nel resto della loro giornata ne fanno uso liberamente. Anzi, io una proposta ce l’ho…
Sarebbe?
Consentirne l’uso a scuola dagli 11 ai 18 anni. Al contempo vietarlo a scuola agli adulti».
Sarebbe rivoluzionario…
Avrebbe più senso che vietarlo ai giovani».
Che adulti saranno gli adolescenti di oggi?
Se parliamo delle ricadute di questa “iperconnessione”, sappiamo che li attendono lavori che oggi non esistono neanche e che gran parte di loro avrà a che fare quotidianamente con l’intelligenza artificiale».
E dal punto di vista dei rapporti umani?
Credo che la coppia non esisterà più per come la intendiamo oggi, ma non è colpa di internet. Oggi la vera questione è che significato ha costruire un rapporto di coppia?
E che significato ha?
Viene visto come qualcosa di minaccioso: i giovani soffrono tremendamente per le separazioni, per i legami amorosi che si rompono. Per cui diventa sempre meno frequente promettersi “l’amore eterno”. E poi, il vincolo di coppia non è neanche più necessario al fine della procreazione. In sintesi, perdiamo tempo a dare la colpa a internet senza renderci conto che il cambiamento riguarda l’intera comunità. Ed è già iniziato.