Riportiamo l’interessante articolo pubblicato sul Corriere dell Sera del 20 Giugno 2016 in cui Matteo Lancini illustra il modello consultazione dell’Istituto Minotauro.
«Negli ultimi vent’anni la psicoanalisi classica è molto cambiata, sia per quanto riguarda l’attenzione verso le acquisizioni delle neuroscienze, sia per la flessibilità del setting, soprattutto nelle terapie dell’adolescenza». Alessandro Vassalli, membro della Spi, la società ufficiale degli psicoanalisti di indirizzo freudiano, socio fondatore dell’Arp (Associazione per la ricerca in psicologia clinica), è uno dei tanti psicoanalisti che hanno aperto le porte a nuove forme terapeutiche. «Una volta – prosegue Vassalli – l’analista dopo un paio di sedute decideva se continuare o meno la psicoterapia. La diagnosi sarebbe venuta in corso d’opera. Oggi con l’attenzione a nuove metodiche, compresa quella sistemico-familiare, si parte da un’attenta valutazione diagnostica, che include la consultazione dei genitori e anche l’uso dei test, prima vituperati dalla psicoanalisi classica. Il fatto di essere flessibili non significa però che usiamo gli stessi metodi della scuola sistemica fondata da Mara Selvini Palazzoli. Più che sulla collaborazione con tutti i membri della famiglia, noi puntiamo sull’aiuto dei genitori, fondamentali nella fase iniziale anche nella ricostruzione della storia clinica del paziente».
Fondazione Minotauro
Su un’apertura verso la terapia familiare che non significa identificazione con essa si orienta anche Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro fondata nel 1984 da Franco Fornari, autore del saggio “Genitori e psicologo”, pubblicato per la prima volta dalla Franco Angeli e successivamente dalle edizioni del Corriere della Sera. «Noi lavoriamo in équipe – spiega Lancini -. Mentre un collega incontra l’adolescente, un secondo terapeuta parla con la madre e un terzo con il padre. Alla fine degli incontri, facciamo una valutazione sintetica e consigliamo ai genitori come comportarsi. Finiti gli incontri multipli, decidiamo se e come proseguire la terapia dell’adolescente. È un approccio, questo, basato sulla flessibilità del setting, che già Franco Fornari aveva messo in luce». In genere è difficile che un adolescente voglia andare in terapia. E sono davvero rari, comunque, i ragazzi che scelgono, una volta avviato il contatto con lo psicologo, una psicoanalisi classica.
Attivare le risorse bloccate
«Di solito – dice Vassalli – si cerca di far durare il meno possibile il trattamento. L’obiettivo è di attivare le risorse bloccate puntando sugli aspetti che provocano maggiore sofferenza». In una prospettiva che limita l’arco temporale del trattamento da uno a un massimo di tre anni, vengono proposte nuove metodiche. «Uno degli approcci più validi – dice Vassalli – è quello strategico, basato su numero di 10-15 sedute. Il caposcuola di questo indirizzo è Giorgio Nardone di Arezzo: si aggrediscono le psico-trappole che generano la patologia, gli autoconvincimenti che alimentano i sintomi». Come si vede, soprattutto per quanto riguarda la terapia dell’adolescenza, le scuole più serie puntano alla flessibilità e al dialogo, non alzano steccati. Vassalli è addirittura convinto che «tra vent’anni avremo un modello unico prevalente» in cui le acquisizioni della psicoterapia verranno sempre più messe a confronto con quelle della neurobiologia. Forse è anche per questa convinzione che Vassalli è tra gli organizzatori del seminario che si terrà il 25 giugno al Teatro Litta di Milano con Bruce Perry, neuropsichiatra dell’università di Stanford che mette in relazione psiche e biologia.