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Condividiamo l’intervista di Sophia Crotti a Matteo Lancini per fanpage.it.

La genitorialità gentile o gentle parenting è un tentativo che secondo lo Psicologo e Psicoterapeuta Matteo Lancini, i genitori di oggi stanno mettendo in atto, per diversificarsi dalle generazioni di genitori che li hanno preceduti. Ma come è possibile che questa modalità fatta di comprensione, dialogo, ascolto, pazienza, non riesca comunque a crescere bambini prima e adolescenti poi, felici e in grado di giostrarsi nella società così complessa in cui viviamo?

“È molto più semplice dire che i ragazzi di oggi stanno male perché siamo stati genitori troppo gentili o perché la scuola è stata accomodante, in realtà diciamo di capirli ma non riusciamo mai davvero a comprenderli”.

Cos’è la genitorialità gentile?

Possiamo dire che la genitorialità gentile, invenzione non legata ad alcuna scienza esatta, sia una modalità messa in atto dai genitori di oggi, per tentare di diversificarsi, negli atteggiamenti, dai genitori del passato. È importante però non cadere nell’errore di pensare che il malessere che poi i figli manifestano sia dovuto alla troppa gentilezza, empatia e comprensione dei genitori.

Se è vero che i genitori di oggi non normano e non creano distanza con i figli, come facevano invece i genitori di un tempo, li crescono però non identificandosi con le loro esigenze, ma mettendo al centro la propria realizzazione personale. La contraddizione della genitorialità odierna è che poi si fanno anche chiamare “genitori gentili”.

Ma non è un bene che i genitori stiano cercando di cambiare il modello genitoriale di un tempo?

Il fatto che un genitore cambi il modello genitoriale rispetto a quello del passato è un bene, perché cerca di fare di meglio, io stesso non ho voluto fare il padre che è stato per me mio padre, il problema è che ci siamo accorti che i figli possono comunque stare male.

Questo ci ha portati a pensare, erroneamente, che il problema a questo punto sia che siamo stati troppo gentili con loro, che li abbiamo messi troppo al centro dell’attenzione, senza abituarli alle frustrazioni. Ma non è così, la verità è che abbiamo costruito una società dissociata, dove mettiamo al mondo figli, ma non riusciamo a identificarci con che cosa significhi essere un bambino o un adolescente in una società complessa come quella in cui viviamo.

Li guardiamo pensando che però noi siamo stati gentili, ma in realtà se è vero che i nostri genitori erano emotivamente più distanti, almeno non ci promettevano di comprenderci e aiutarci. Oggi questa promessa ai nostri figli la facciamo spesso, ma poi chiediamo loro di adattarsi alle nostre esigenze, fatte di orari di lavoro stressanti, apparecchi sempre collegati ad internet, e una società molto complessa.

I bimbi non soffrono perché gli abbiamo voluto troppo bene, ma perché abbiamo organizzato la vita senza mai identificarci con il dolore e i sentimenti negativi che rimuoviamo dalla libertà di espressione dei bambini perché invece spaventano noi.

Quindi i genitori di oggi non sono poi così empatici, anche se si definiscono “gentili”?

Se con genitorialità gentile intendiamo che oggi i genitori cercano di ascoltare di più i figli di quanto non lo facessero le generazioni precedenti è vero, il problema è che poi non sanno davvero ascoltare quello che i figli hanno da dire.

I genitori di oggi spesso rimuovono le tematiche legate ai sentimenti negativi, “sequestrano” i propri figli che non possono più giocare soli per strada o tornare da scuola se non accompagnati da loro, costruiscono una società in cui fin dalla nascita fotografano e filmano i figli per postarli in internet, ma quando hanno 12 anni, forse in nome di questa genitorialità attenta e gentile, dicono loro che internet gli fa male, non perché sia vero ma perché fa comodo così. È evidente che modelli genitoriali come anche la genitorialità gentile servono solo a far sentire agli adulti che hanno fatto bene il proprio mestiere di genitori.

Gli adulti però non riescono ad amare davvero i figli per quello che sono, ma continuano a pensare, guardando al proprio operato, che il motivo della tristezza dei ragazzi è che loro sono stati troppo gentili, invece forse è perché non sanno costruire una società che si identifichi con i loro bisogni.

I genitori che vengono però bombardati da contenuti sulla genitorialità non sono più fragili anche dal punto di vista educativo con i figli?

Sì sicuramente, oggi gli esperti danno delle indicazioni facendole passare come universali, ma bisognerebbe insistere sul fatto che ogni figlio è unico e dunque il genitore vi si deve approcciare in maniera diversa. Il compito degli adulti è declinare il proprio atteggiamento in base al funzionamento, per essere autorevoli. La confusione dipende proprio da questi decaloghi per essere un genitore perfetto, che non esiste, perché al centro dovrebbe esserci il bambino, non il genitore.

Insomma oggi si chiede ai figli di fare gli adulti, e i ragazzi oggi conoscono il funzionamento psichico, affettivo e relazionale dei genitori, ma gli adulti non hanno in mente il funzionamento dei figli, troppo impegnati a dire che stanno mettendo in atto la formula chimica giusta sul proprio figlio, per esempio la gentilezza, come se i figli fossero tutti uguali poi.

Questa gentilezza non potrebbe essere un palliativo per giustificare le assenze dovute a una società dai ritmi sempre più frenetici? 

Certamente, anche se penso che oltre a parlare del nostro sistema basato su una realizzazione personale, sull’individualismo e il cambiamento dell’identità femminile, con donne che per fortuna, non devono più dedicarsi solo ai figli, dovremmo parlare delle conseguenze di questi cambiamenti sociali.

Però è più semplice dire che i ragazzi stanno male perché siamo troppo gentili, al posto di dire che è così perché abbiamo messo al centro noi stessi, così come è facile dire che è tutta colpa della pandemia o di internet, non che abbiamo costruito una società non identificata con le nuove generazioni, che si trovano nel bel mezzo di una crisi climatica, di guerre e di una crisi economica che li porterà ad essere molto più poveri di noi. Accettare tutto questo è difficile, meglio dire che si è troppo gentili.

La gentilezza può derivare dalla paura di essere magari troppo autoritari come lo erano stati in passato i propri genitori?

Il problema è che la punizione e l’essere autoritari e distanti aveva un significato in una società in cui l’adulto era distante, oggi invece i figli devono svolgere una funzione diversa e dunque la punizione ancora una volta viene erogata per i figli, ma per pura esigenza degli adulti.

Il funzionamento dei ragazzi di oggi non è quello di chi ha ricevuto troppo, ma di chi sta vivendo in una società nel bel mezzo di un cambiamento, con genitori che non si domandano chi sia il loro bambino, di cosa abbia bisogno, ma che gli dicono di stare in silenzio, di non spintonare i compagni, di non tornare da solo da scuola, di fare per forza nuoto e un altro sport nel tempo libero e alla fine aggiungono che lo stanno facendo per lui. Ma sappiamo se a lui tutto questo va bene? Penso di no, dovremmo smetterla di raccontarci che siamo stati troppo gentili, quando invece ogni cosa la facciamo per noi più che per i figli.

I ragazzi stanno male, soffrono d’ansia, si tagliano, aumentano i suicidi, ma non perché siamo stati gentili e la scuola senza voti troppo accomodante, perché gli adulti sono così fragili che mettono in atto una serie di iniziative per sentirsi capaci, autorevoli e giusti e la chiamano genitorialità gentile.