Il Minotauro di Milano-Istituto dei codici affettivi – è stato fondato da Franco Fornari nel 1984 con l’intento di ostendere il pensiero psicoanalitico e l’analisi di codice ai più vari contesti istituzionali. Da allora molti giovani, molti genitori e molti altri utenti si sono rivolti a noi portandoci le loro storie e le loro domande. Accade tuttavia frequentemente che qualcuno chieda le ragioni per cui questa istituzione ha scelto di darsi il nome del mostro di Creta chiuso nel labirinto di Cnosso e ucciso dall’eroe Teseo. In questo testo le ragioni vengono indagate ripercorrendo la vicenda mitica del Minotauro a partire da un libro di Fornari pubblicato nel 1977 che si intitolava appunto Il Minotauro. La narrazione mitica grazie alla tecnica interpretativa introdotta da Fornari consente allora di formulare una risposta psicoanalitica alla domanda che concerne il nostro nome.

In logica l’obversione rappresenta una forma particolare del principio di identità. Per esempio, l’affermazione “Tutti gli uomini sono mortali” può essere espressa attraverso una doppia negazione nella forma equivalente “Nessun uomo è immortale (e quindi non mortale)”. Nell’esperienza concreta però essa assume la forma di una ripetizione. Alla ripetizione conduce anche il meccanismo della dialettica hegeliana. In campo psicoanalitico, obversione e dialettica possono essere visti come due modi di intendere la ripetizione, il primo antievolutivo e legato alla pulsione di morte, il secondo invece legato alla crescita, alla vita a Eros. La terapia psicoanalitica può essere vista come uno strumento di cambiamento nella misura in cui riesce a favorire, nel sapere inconscio del soggetto, una trasformazione dalla ripetizione obversiva a quella dialettica.

Dalla seconda metà del secolo scorso identità e ideali di genere sono profondamente cambiati: alle giovani donne non si chiede più di essere dolci, fragili e infantili, ma forti, coraggiose e indipendenti; a una declinazione identitaria caratterizzata dall’assoggettamento al desiderio maschile (la donna-oggetto) e da un’attitudine materna devota e sacrificale (l’angelo del focolare) si è sostituito un’ideale femminile orientato all’autonomia professionale, economica e relazionale. La volontà di superare le connotazioni di debolezza e dipendenza della femminilità tradizionale induce le giovani donne a respingere e negare le proprie fragilità, a vergognarsene e contrastarle con una rigida corazza difensiva. La pressione culturale a perseguire un modello prestazionale fondato su parametri d’eccellenza estetica e intellettuale rischia così di risolversi in un narcisismo sterile, che impoverisce le risorse creative e generative femminili, come segnala il rischio di decrescita demografica che minaccia l’Occidente.

L’efficacia degli interventi psicoterapeutici è stata confermata da tempo, mentre di più recente interesse è la riflessione sull’impatto sociale della psicoterapia, i suoi effetti non solo sul benessere individuale, ma anche sociale. I disturbi mentali sono molto diffusi e hanno un effetto importante sul funzionamento sociale nel suo insieme e sulla spesa sanitaria. Il disagio mentale negli ultimi anni, anche a seguito del Covid, ha avuto un grande incremento, in particolare negli adolescenti, ed è sempre più necessario uscire da una logica limitata ai risultati ottenuti con i pazienti. Un intervento clinico efficace con gli adolescenti, in particolare, non ha solo un impatto sul loro benessere e su quello della famiglia, ma più in generale può avere un valore preventivo sul loro sviluppo come persone adulte e sulla costruzione di una positiva identità sociale. Negli ultimi anni si stanno sperimentando nuove iniziative che tengono conto della dimensione dell’impatto sociale delle psicoterapie ed è ormai dimostrato che i programmi che facilitano l’accesso all’intervento psicologico consentono un significativo risparmio economico per la società. Queste iniziative fanno anche ricorso a specifici strumenti finanziari, come i social impact bond.

In un testo di quaranta anni fa, Franco Fornari analizzava la situazione dell’Europa quando ancora era divisa in due e sottoposta al controllo sovietico e statunitense. Ne emergeva l’idea che due genitori simbolici avessero posto in atto un accordo che rendeva impossibile l’emancipazione e lo sviluppo dei loro figli adottivi. U.S.A e U.R:S.S. infatti, si comportavano in modo tale da percepire ogni emancipazione e ogni ricerca di indipendenza come un’intrusione e come una minaccia. La guerra in Ucraina, letta a partire da questo scenario, appare come un tentativo anacronistico ma estremamente drammatico di riportare indietro le lancette dell’orologio e di ritornare a una situazione di conflitto che prende le mosse da una militarizzazione paranoica del codice materno e che vuole impedire a un’Europa adolescente di divenire adulta.

L’articolo prende in esame da un punto di vista psicologico, biologico, sociale e culturale il lungo e complesso cammino evolutivo che ha portato gli esseri umani vicino alla possibilità di poter costruire una cultura di pace. Sulla base degli studi di Franco Fornari sui codici affettivi, l’autore mostra come oggi tale possibilità sia però ancora ostacolata da meccanismi inconsci che rendono difficile l’integrazione dei diversi codici affettivi. Secondo l’autore il processo di civilizzazione e lo sviluppo dell’intelligenza emotiva potrebbero facilitare il raggiungimento di questo obiettivo, evitando così il rischio di estinzione della nostra specie legato allo sviluppo di armamenti atomici e di tecnologie incontrollate.

I manuali diagnostici classificano i problemi soprattutto attraverso sintomi e tratti di personalità. In una prospettiva di psicopatologia evolutiva i problemi possono essere descritti come difficoltà nell’affrontare i compiti di sviluppo. Rare sono le ricerche sul modo in cui le persone descrivono spontaneamente i loro problemi. Le richieste giunte al Centro di consultazione e psicoterapia del Minotauro (900 nel periodo da gennaio 2019 a marzo 2021, per giovani dagli 11 ai 30 anni) sono state analizzate con il software T-LAB Plus 2021 (Lancia, 2004). L’analisi condotta sulle parole delle segnalazioni ha individuato 6 cluster: ansia e problemi scolastici, ritiro sociale e dipendenze, disturbi alimentari, conflitti familiari, crisi evolutive e comportamenti autolesivi. Questi risultati sono stati confrontati con le classificazioni normalmente utilizzate nelle prime valutazioni nel Centro clinico. Un confronto tra le richieste di aiuto del periodo pre-pandemico (da gennaio 2019 a marzo 2020) con quelle del periodo post-pandemico (da marzo 2020 a marzo 2021) mostra un aumento di problemi di suicidio e autolesionismo, con una diminuzione di difficoltà scolastiche e ritiro sociale.

In una prospettiva di psicopatologia evolutiva nella valutazione dei disturbi è utile prendere in considerazione, oltre alla diagnosi, i fattori di contesto e di sviluppo. L’attenzione a diversi fattori di protezione e di rischio può aiutare i clinici non solo a formulare una diagnosi, ma anche a prefigurare l’esito della presa in carico, in una prospettiva di valutazione attuariale. All’interno dell’equipe della presa in carico dei disturbi alimentari del Minotauro è stata costruita una scheda di rilevazione dei fattori di rischio e protezione dei disturbi alimentari, a partire da quelli indicati in letteratura, che tiene conto sia di fattori individuali e famigliari, sia di fattori di sviluppo. Gli psicoterapeuti dell’equipe hanno compilato una scheda di rilevazione dei fattori individuali e una dei fattori famigliari per 31 ragazze con disturbi alimentari al termine della presa in carico. Un’eventuale nuova versione breve, che riduca il numero di item, potrebbe essere utilizzata dagli psicoterapeuti che prendono in carico adolescenti e giovani adulti con disturbi alimentari per affiancare all’intuito clinico uno strumento a sostegno del processo di valutazione, aumentandone la validità.

La messa alla prova, misura del codice di procedura penale minorile che consente di sospendere il processo penale, è uno strumento giuridico unico nel suo genere, da un lato perché il suo esito, se positivo, porta alla cancellazione dell’imputazione penale, dall’altro perché si è dimostrato in grado di ridurre notevolmente il rischio di recidiva. Se l’efficacia della messa alla prova è riconosciuta da diversi studi, meno noti sono i meccanismi di cambiamento che si attivano nell’ambito di questi progetti penali. Lo scritto che segue approfondisce il tema del cambiamento nell’ambito della messa alla prova attraverso la descrizione di un caso clinico atipico rispetto alla popolazione penale minorile, di solito imputata di reati contro il patrimonio o contro la legge sulle sostanze; si tratta infatti di un caso di violenza sessuale nei confronti di un minore. La riflessione sui meccanismi del cambiamento nel corso della messa alla prova è proposta da una prospettiva di psicoterapia evolutiva, descritta attraverso l’osservazione clinica e confermata dalla somministrazione del Rorschach Comprehensive System all’inizio ed alla fine del progetto penale.

L’arrivo improvviso del Covid-19 ha costretto la maggior parte dei clinici ad utilizzare una diversa modalità di presa in carico rivedendo le proprie opinioni sull’utilizzo delle terapie da remoto. Nei mesi di febbraio e marzo 2021 è stata condotta un’indagine esplorativa tramite la diffusione online di un questionario realizzato con Google Moduli che ha raccolto le risposte di circa 400 terapeuti con l’obiettivo ultimo di esplorare vissuti e rappresentazioni sulle terapie online prima e durante la pandemia. L’esperienza maturata durante il corso di questa emergenza sanitaria sembra aver maggiormente legittimato la possibilità, per altro già esistente, di svolgere terapie a distanza, lasciando però aperte domande e riflessioni su come integrare questa modalità di lavoro nella propria pratica clinica e sull’eventuale necessità di una specifica formazione a riguardo.

Nella presa in carico di adolescenti con disturbi alimentari, assistiamo sempre più frequentemente al presentarsi di situazioni in cui i sintomi non riguardano in modo prevalente la restrizione o la compulsione alimentare, quanto piuttosto tematiche relative al controllo: sulla preparazione e consumazione degli alimenti, sul peso, sulla forma e sull’esercizio fisico. Queste nuove declinazioni corrispondono in buona parte ai quadri descritti in letteratura come ortoressia o vigoressia. In questo scritto ne presentiamo alcune caratteristiche facendo specificamente riferimento al modo in cui si manifestano nella popolazione adolescenziale. A partire da alcune considerazioni sul contesto psicosociale in cui avviene la crescita oggi e sulle importanti trasformazioni in atto nello stile di vita, molte delle quali accentuate dall’esperienza della pandemia, presenteremo alcune riflessioni cliniche, volte a tratteggiare un orizzonte di senso all’interno del quale rendere più puntuale e accurata la presa in carico psicoterapeutica degli adolescenti che presentano questi disturbi.

Non è facile valutare la genitorialità, che è un costrutto multidimensionale. In letteratura sono disponibili diversi strumenti, che sono utilizzati a scopi di ricerca, nel lavoro clinico o in ambito peritale. Le principali dimensioni che sono oggetto di valutazione sono la capacità di regolare il comportamento dei figli e di costruire legami, la cui combinazione definisce i diversi stili genitoriali. Un’altra area importante è la sicurezza di ruolo, l’autostima dei genitori, la loro fiducia nelle capacità di esercitare le loro funzioni in modo efficace. Recentemente sono stati introdotti strumenti di valutazione della mindfulness genitoriale e della capacità riflessiva, nel quadro della teoria dell’attaccamento. Altre valutazioni, infine, sono orientate ad indagare il livello di alleanza tra padre e madre e la flessibilità con cui riescono ad adattarsi allo sviluppo del figlio. Uno dei problemi di molti strumenti, tuttavia, è che sono spesso pensati per la valutazione dei genitori di bambini e tendono a sottovalutare la specificità delle funzioni educative dei genitori di adolescenti.

L’articolo prende in esame una situazione di disagio psicosociale sempre più frequente tra i giovani adulti: il blocco dei processi di formazione culturale e professionale e di orientamento ed accesso al mondo del lavoro. L’autore ritiene molto importanti, per spiegare tale blocco, oltre a fattori intrapsichici e relazionali, anche dinamiche inerenti al rapporto dei giovani bloccati con il loro contesto familiare. In particolare, si indaga sull’influenzamento, per lo più indiretto e inconscio, che i valori ideali e l’ideologia affettiva e superegoica dei genitori contribuiscono a determinare. L’aspetto psicogeno di tale influenzamento è, più specificamente, da ricondurre a conflitti, consci e inconsci, nell’area degli Ideali dell’Io dei genitori stessi.

Nel momento in cui l’Europa è attraversata da una terribile pandemia, sembra che si stia diffondendo, ad aggravare ulteriormente le cose, il terribile virus del fanatismo e del terrorismo che, con implacabile frequenza, aggiorna continuamente il conto delle vittime. In questo testo, a partire da alcune osservazioni che abbiamo raccolto in un libro di recente pubblicazione (Diventare terroristi: Psicoanalisi di un progetto suicidale, Mimesis editore) cerchiamo di ricostruire la storia di due giovani assassini. Quelli che si sono resi protagonisti degli attentati di Conflans-Sainte-Honorine e di Nizza. La tesi sostenuta è che, al di là della determinazione ideologica e della propaganda fondamentalista, abbia agito in loro un disperato bisogno di riscatto e di riconoscimento mediatico. Una idealizzazione del Sé pagata al prezzo della morte.

È frequente che pazienti e terapeuta si incontrino per pochissimi incontri (talvolta uno solo) dopo i quali non inizia un percorso terapeutico. Dietro questa interruzione, normalmente definita come dropout, vi sono in realtà esperienze molto diverse. In alcuni casi è anche possibile che gli effetti clinici e la percezione del paziente siano positive. Negli ultimi anni la psicoterapia si sta muovendo verso interventi brevi o brevissimi, fino alla proposta di una terapia a seduta singola, ma l’importanza della relazione come fattore terapeutico pone dei dubbi sulla tenuta dei risultati di trattamenti che si limitino a pochi colloqui.

Nella società del narcisismo l’estetica e il culto della bellezza hanno assunto una rilevanza centrale, abnorme, segnalando i valori, ma anche le crisi e i disagi del nostro tempo. Il corpo della contemporaneità è un corpo estetico e sovraesposto, un corpo narcisistico, attraverso cui si esprimono aspetti identitari e ideali. In questa cornice, il sexting e il selfie mettono in scena la fragilità narcisistica degli attuali adolescenti e si collocano lungo un continuum tra “nuove normalità” e “nuove forme di disagio”. Attraverso questi comportamenti infatti, gli adolescenti sperimentano nuovi aspetti di sé, ma manifestano anche il dolore connesso alla crescita. Nel lavoro clinico con i giovani pazienti che adottano queste pratiche in modo disfunzionale, è importante inquadrarle all’interno del loro bilancio di crescita, per comprendere i significati affettivi ed evolutivi che veicolano. Spesso in questi casi l’obiettivo terapeutico consiste nel favorire l’integrazione tra il corpo e gli affetti all’interno del processo di costruzione identitaria, favorendo la collocazione dei bisogni di approvazione e dipendenza all’interno dei legami affettivi, senza che rappresentino una pericolosa minaccia per l’integrità del Sé e per la propria autonomia.

L’emergenza sanitaria ha imposto una modalità di lavoro a distanza, spesso mai precedentemente adottata e, in taluni casi anche guardata con diffidenza. A quindici psicoterapeuti di diversa esperienza ed orientamento teorico è stata somministrata un’intervista sulle variazioni della relazione, della tecnica e degli obiettivi della cura. L’indagine si è svolta dal 15 al 28 aprile, durante la prima fase del lockdown. Poco più della metà dei pazienti ha accettato il passaggio a sedute a distanza. I fattori che hanno determinato l’interruzione sono stati soprattutto le caratteristiche del paziente, una recente relazione terapeutica o una scarsa motivazione. Gli psicoterapeuti si descrivono come più coinvolti e supportivi, sentendosi chiamati dalla modalità online e dalle circostanze speciali dovuti al Covid a una maggiore vicinanza al paziente. In certe situazioni il lockdown è stato considerato terapeuticamente positivo perché, pur alimentando reazioni ansiose, ha aiutato alcuni pazienti ad essere più in contatto con i propri vissuti. Tutti gli psicoterapeuti hanno riportato come problema nucleare la mancanza di spazi fisici per il paziente, che non garantiscono uno spazio privato adeguato. È difficile distinguere nelle reazioni il peso della relazione a distanza e quello della drammatica situazione sanitaria

La ricerca psicoanalitica sui disturbi del comportamento alimentare sottolinea come i fattori esterni, legati all’immagine di sé e ai modelli estetici, non siano di per sé sufficienti a provocare il disturbo, che ha motivazioni più profonde, nelle relazioni interiorizzate con gli oggetti di riferimento. È riconosciuto, comunque, che l’origine di tali problematiche è multifattoriale, così come l’approccio terapeutico che offre maggiori possibilità di successo è multidisciplinare. Uno degli obiettivi del percorso terapeutico è quello di trasformare l’agito che attraversa il corpo, ridotto alla pura dimensione alimentare, in un discorso sul corpo che permetta d risimbolizzarlo, attribuendogli nuovi significati e nuove funzioni affettive e relazionali. Le riflessioni presentate nascono da alcune esperienze in cui si sono utilizzate le immagini concrete del corpo (foto ricordo, di famiglia, ritratti, selfie) come via d’accesso privilegiata alla rappresentazione interiorizzata di sé, ripercorrendo, all’interno della cornice protettiva della relazione terapeutica, un processo di integrazione e di donazione di senso che in genere nella storia evolutiva delle persone che soffrono di questo disturbo risulta assente o distorto. A partire dalle immagini è possibile ripensare il corpo, attraversare insieme le sue trasformazioni, dando vita e parola ad espressioni a volte molto diverse del Sé e donando loro un significato all’interno della narrazione della propria storia personale, uscendo dal vuoto identitario e dal tempo fermo della sofferenza psichica.

Come raccontano gli adolescenti il loro cambiamento? La capacità di raccontarsi è correlata al benessere e all’equilibrio psicologico? Una ricerca sulle narrazioni di adolescenti tra i 15 e i 18 anni cerca di rispondere a queste domande. L’autopercezione del cambiamento, i contenuti delle narrazioni e il livello di coerenza narrativa (Habermas, 2011) sono stati messi in relazione con il livello di benessere/psicopatologia (Youth Self Report, Achenbach, 2001). I risultati confermano che il livello di coerenza è correlato con il benessere/malessere. Vi sono differenze particolarmente significative tra gli studenti dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali, i cui allievi hanno più problemi a livello clinico e un inferiore livello di capacità narrativa.

I comportamenti trasgressivi e antisociali sono più tipici dei maschi, che commettono anche più reati delle femmine. Le donne che commettono reati sono state spesso viste come malate e, in passato, come “possedute”. Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione alla specificità della devianza femminile, che appare in aumento. Questo incremento è un fenomeno reale o questi dati indicano una nuova attenzione sociale e penale ai comportamenti devianti delle ragazze? Una riflessione importante, al di là dei dati statistici, è sulle motivazioni soggettive e sui bisogni evolutivi che sono alla base della devianza femminile. L’ascolto clinico delle adolescenti incontrate presso i servizi della giustizia minorile, perché sottoposte a procedimenti penali, o in consultazioni private, su segnalazione dei genitori, è l’occasione per tradurre in parole il gesto trasgressivo, approfondendone le motivazioni di base e riconnettendole ai bisogni di crescita. L’antisocialità femminile spesso si configura come espressione di problematiche evolutive nella costruzione dell'identità di genere.

L’articolo illustra i risultati di una ricerca qualitativa condotta su un campione di neo-mamme, intervistate durante e dopo la gravidanza, mirata a indagare le rappresentazioni relative alla maternità. Il focus sono le modalità con cui il debutto del codice materno, che secondo la teorizzazione fornariana riporta sulla scena un dominio naturale, dialoga coi modelli culturalmente suggeriti, imponendo una riorganizzazione nella complessa morfologia identitaria delle donne post-moderne. I risultati raccolti confermano l’idea che l’esperienza generativa si configuri oggi come una vera e propria sfida sul piano psichico, che richiede acrobazie inedite per far quadrare gli investimenti dei diversi Sé, a cui le neo-mamme non erano del tutto preparate. Di fronte ai nuovi compiti di ruolo, le donne post-moderne si trovano a fronteggiare le prescrizioni esigenti del codice materno e gli ideali socialmente suggeriti, sperimentando quote significative di ambivalenza e inadeguatezza che richiedono di elaborare nuove rappresentazioni di sé, della coppia e del proprio futuro.

In Italia coloro che commettono un reato tra I 14 e I 18 anni vengono giudicati dal Tribunale per i Minorenni, per gli adulti si attiva il Tribunale Ordinario. Nonostante le notevoli continuità psicologiche tra l’adolescenza e la giovane adultità rese ulteriormente centrali dai cambiamenti culturali e sociali degli ultimi decenni, il compimento della maggior età rappresenta, da un punto di vista giuridico, uno spartiacque importante poiché determina logiche di inquadramento e soprattutto di trattamento dell’antisocialità molto differenti. L’articolo si propone di approfondire questo tema anche grazie alla presentazione di alcuni dati di ricerca sul confronto tra adolescenti e giovani adulti autori di reato.

Le ricerche sulla messa alla prova, una misura del codice di procedura penale minorile, introdotta in Italia con il DPR. 448/88, hanno mostrato che ha esiti positivi nell’80% dei casi e che è efficace nel ridurre le recidive. E’ difficile, tuttavia, capire che cosa contribuisca in modo specifico al successo o al fallimento. Con l’obiettivo di individuare i principali fattori che sono correlati all’esito, è stata svolta una ricerca presso l’USSM di Milano su 148 messe alla prova concluse tra il 2014 e il 2016. A questo scopo sono stati raccolti dati sulle caratteristiche del minore, del suo contesto evolutivo e del progetto di messa alla prova. I risultati mostrano che hanno un peso significativo sull’esito della messa alla prova i problemi famigliari e gli eventi traumatici, l’età del minore e il livello di alleanza sul progetto. Non sono invece significativi la gravità del reato e dove si svolge la messa alla prova, a casa o in comunità. Questi risultati possono fornire elementi per ideare interventi più efficaci, tra cui un’adeguata valutazione iniziale del minore, tenendo conto del suo livello di maturità, e dell’importanza di un intervento sui genitori.

Uno dei più comuni problemi degli adolescenti è rappresentato dalla loro propensione al rischio ed alla trasgressività. I recenti cambiamenti socioculturali, in particolare il passaggio da una famiglia normativa ad una famiglia affettiva e l’introduzione della Rete nella vita quotidiana, che hanno sancito il passaggio alla generazione dei Nativi Digitali, hanno portato ad alcuni fenomeni particolari per quanto riguarda queste problematiche. Da un lato emergono comportamenti a rischio nuovi, poco comprensibili da parte degli adulti, finalizzati ad essere popolari e ad ottenere ammirazione. Dall’altro, la fisiologica propensione al rischio intesa come spinta ad andare oltre a ciò che si conosce e ad addentrarsi nel mondo, sembra in netta diminuzione. È interessante interrogarsi su quali siano gli intrecci tra diffusione delle nuove tecnologie e comportamenti trasgressivi ed antisociali in adolescenza, per evitare rischiose semplificazioni e fornire uno sguardo aggiornato su un tema che diventerà sempre più pregnante per chi si occupa di adolescenza.

Il 20 dicembre 2018 il MIUR ha riconosciuto la scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’Adolescente e del Giovane Adulto del Minotauro. In questo articolo sono sintetizzati gli orientamenti teorici che sono alla base del progetto formativo della Scuola, così come sono stati presentati per la domanda di riconoscimento e che ne giustificano sia le scelte tecniche sia gli obiettivi formativi.

L’analisi narrativa de La scelta di Adam Henry di Ian McEwan (2014) e della sua versione cinematografica – Children Act Il Verdetto di Richard Eyre (2017) – fornisce spunti interessanti per ricostruire le ragioni affettive dei processi di radicalizzazione ideologica in adolescenza. La radicalizzazione è interpretata, alla luce della distinzione fra ideale e ideologia nella teoria dei codici affettivi di Franco Fornari, come espressione di un’assolutizzazione dell’ideale, che trasformandolo in ideologia lo militarizza nei confronti di altri sistemi di valore. La funzione genitoriale, naturale e sociale, sostiene l’adolescente nella costruzione degli ideali che ne orientano l’esistenza, svolgendo un ruolo imprescindibile nella sua nascita sociale, che garantisce il passaggio di testimone fra le generazioni ed evita i rischi della radicalizzazione ideologica. L’articolo è la sintesi della relazione presentata al convegno Radicalizzazione. Età, emozioni, ragioni e ideologie organizzato dall’Istituto Minotauro in occasione della presentazione del libro Scelte estreme in adolescenza (Maggiolini, Di Lorenzo, 2018).

Ci sono differenze sistematiche nei contenuti dei sogni di uomini e donne, negli ambienti, nelle interazioni sociali, negli oggetti e nei personaggi. Le donne, in particolare, sognano in eguale misura uomini e donne, mentre la percentuale di personaggi maschili nei sogni degli uomini è maggiore (Domhoff, 2017). Questa differenza è universale, anche se con alcune variazioni culturali, e ci si può chiedere se cambia con l’età. L’analisi di 1546 sogni (722 maschi e 824 femmine), suddivisi in sette fasce di età (dagli 8 anni ai 70 anni) condotta con il metodo di Hall e Van de Castle (1966), rivisto da Domhoff (1996, 2003, 2017) conferma le differenze significative nei personaggi onirici nei sogni di maschi e femmine. I maschi, infatti, sognano più maschi e meno femmine, mentre le femmine sognano maschi e femmine in modo più paritario. I maschi sognano anche più spesso personaggi in gruppo, più adulti e meno bambini, più personaggi famosi e più personaggi associati ad un lavoro, ma sognano meno parenti e meno personaggi famigliari. Mentre molte di queste differenze si mantengono stabili, le variabili del genere dei personaggi dei sogni cambiano in modo significativo con l’età, con una progressiva riduzione della differenza. Nell’articolo vengono discusse alcune ipotesi che possono spiegare questa tendenza.

L’articolo presenta alcuni punti salienti di una ricerca condotta attraverso interviste individuali e di gruppo sugli aspetti affettivi dell’esperienza omogenitoriale, i cui risultati sono descritti più estesamente in Non succede per caso. Percorsi omogenitoriali tra desideri e realtà (Buday, Trevisan, 2018). La ricerca mette in luce le complesse traiettorie di elaborazione affettiva dell’insufficienza biologica, attraverso l’intervento medicalmente assistito con la presenza di figure esterne alla coppia, le specificità della transizione alla genitorialità omosessuale, i percorsi di auto-costruzione dell’identità e del ruolo genitoriale in un contesto che offre scarso riconoscimento.

Le ricerche sull’efficacia della psicoterapia si sono concentrate prevalentemente sull’individuazione dei fattori che predicono un esito positivo. Meno diffusi sono gli studi che hanno approfondito i possibili errori da parte del terapeuta, non solo errori diagnostici o di indicazione del trattamento più adeguato, ma anche interventi tecnici del terapeuta che non producono gli effetti previsti e che possono portare a peggioramenti del paziente. Gli errori in psicoterapia sono stati concettualizzati sia come deviazioni rispetto a parametri, che definiscono cosa è corretto fare in seduta, sia come interferenze emotive del terapeuta, che gli impediscono di sintonizzarsi con il paziente. In una diversa prospettiva questi errori possono anche essere letti come fraintendimenti del senso affettivo della comunicazione tra paziente e terapeuta ed essere utilizzati come importanti occasioni di cambiamento.

Le trame narrative di due film del 2016, Ella e John. The Leisure Seeker, di Paolo Virzì e La La Land, di Damien Chazzel, vengono analizzate come descrizioni esemplari della diversa contrattualità affettiva della coppia romantica e della coppia narcisistica. La scomparsa, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, degli automatismi derivanti dalla complementarità dei ruoli di genere modifica le trame affettive e i valori di riferimento della coppia sentimentale. Il confronto fra le due narrazioni filmiche offre interessanti spunti di riflessione sul confronto fra il legame romantico, fondato sulla continuità e sull’esclusività del rapporto e istituzionalizzato attraverso un matrimonio che sancisce l’ingresso della coppia nella vita adulta, legittimandone la sessualità e dell’autonomia, e la coppia narcisistica, in cui i ruoli di genere appaiono meno definiti e differenziati e la contrattualità affettiva più finalizzata a soddisfare i bisogni emotivi e di sostegno alla realizzazione personale, che a garantire status sociale e continuità generativa alle famiglie d’origine.

Il dibattito sociale e politico sulla risposta ai reati minorili oscilla tra logiche sanzionatorie e riparative. Le ricerche meta-analitiche condotte negli Stati Uniti e in Europa, in realtà, dimostrano l’utilità di interventi che seguano una logica “terapeutica”. Mentre gli interventi ispirati da obiettivi di deterrenza sono controproducenti, diversi trattamenti, come quelli di counseling e multisistemici, sono efficaci nel ridurre le recidive. In Italia la misura della messa alla prova riduce del 10% il rischio di recidiva. Poiché molti adolescenti sottoposti a procedimenti penali hanno problemi psicologici, resta in realtà aperta la questione degli effetti del trattamento psicologico sulla riduzione delle recidive.

Nel corso degli ultimi decenni la relazione di coppia e gli stereotipi di genere maschile e femminile hanno subito numerosi e significativi cambiamenti, con il passaggio da una coppia “romantica”, centrata su ruoli, aspettative e compiti distinti tra maschi e femmine e finalizzata alla costruzione della famiglia, ad una coppia “narcisistica”, più fluida e paritetica, al servizio di bisogni e delle spinte individuali. Le risposte ad un questionario online di 698 adolescenti e giovani adulti confermano che la coppia è considerata soprattutto una risorsa per la realizzazione del Sé, che non esita necessariamente in un progetto generativo. Mantenere spazi di autonomia all’interno della coppia è un requisito essenziale alla sua durata.

L’autore propone una riflessione critica sul tema dell’omogenitorialità, spesso intesa astrattamente come diritto individuale. La riflessione si basa su concetti fondamentali della psicoanalisi e dell’antropologia, segnalando il diverso peso riconosciuto nella cultura attuale a ricerche che escludono potenziali conseguenze negative per i figli dell’omogenitorialità e ricerche che lo accerterebbero, che sono spesso intenzionalmente obliate nella letteratura. Ne risulta confermata l’ineludibilità della componente ideologico-culturale nel dibattito in corso.

Più di trenta anni fa, nell’anno accademico 1979/80 Franco Fornari tenne un corso all’Università Statale di Milano dal titolo Lezioni introduttive alla Repubblica di Platone. Durante quell’insegnamento, si andavano organizzando e venivano esplicitate alcune teorizzazioni che sarebbero poi risultate centrali nello sviluppo dell’ultima parte del pensiero di Fornari a partire dal saggio psicopolitico sull’Europa (1981) e che ne avrebbero improntato le scelte sul piano della teoria e della tecnica psicoanalitica e, ancor di più, su quello del discorso psicoanalitico nella sua dimensione di ragione pratica. Affrontare Platone significava accettare una sfida molto ambiziosa e forse impossibile, nella quale, per la prima volta, Fornari decideva di applicare il suo metodo di indagine psicoanalitico (la teoria coinemica) ad un testo filosofico, misurandosi con La Repubblica o Sulla Giustizia, un libro che, a partire da una teoria della conoscenza (la teoria delle idee), contribuisce a fondare la metafisica occidentale, pone la basi del pensiero politico, stabilisce una gerarchia dei saperi, opera una riflessione sull’estetica e sulla pedagogia, definisce una tripartizione dell’apparato psichico di cui chi lavora in psicoanalisi non può ignorare le conseguenze e le implicazioni. In questo lavoro cercheremo di ripercorrere e di esplicitare gli elementi innovativi principali che sono emersi da questo straordinario incontro culturale e che coinvolgono la questione della fondazione del pensiero psicoanalitico sulla base dei processi di simbolizzazione, e la questione politica della esecuzione come elemento culturale che si inserisce in un complesso gioco pattern naturali.

Le circostanze della morte di Marilyn Monroe, mancata a 36 anni nel 1962, sono ancora misteriose e contemplano un probabile suicidio, un’overdose accidentale da farmaci o un omicidio. Nel 2005 l’agente di polizia J.W. Miner rende pubbliche la trascrizione di un messaggio audioregistrato indirizzato dall’attrice al suo psicoanalista, Ralph Greenson, cui si rivolge come fosse in una seduta terapeutica. L’analisi delle trascrizioni ha cercato la possibile presenza di indicatori diretti o indiretti di propensione suicidaria nelle ultime parole di Marilyn. Gli strumenti adottati per l’analisi del testo originale sono la MAST (Osman et al., 1993) e la BHS (Beck, 1974). I risultati mostrano nelle parole di Marilyn attrazione per la vita e un atteggiamento ottimista, indicatori che non confermano quindi una propensione al suicidio, quanto piuttosto lasciano ipotizzare un orientamento maniaca

La scelta di un sistema di valori che orienti il proprio modo di diventare donna, definendo identità e ideali di genere, è un compito evolutivo focale dell’adolescenza femminile, cui contribuiscono fattori intrapsichici, relazionali e culturali. Isteria e anoressia non sono considerate da un vertice psicopatologico, ma come espressioni di una sofferenza psichica a esordio adolescenziale, segnale di difficoltà e conflitti nella costruzione dell’identità femminile: l’isteria delle giovani donne educate nella sessuofobica cultura vittoriana e l’anoressia delle adolescenti cresciute nella società prestazionale postmoderna, che le vuole belle e intelligenti, forti e vincenti, possono essere interpretate come espressioni sintomatiche della protesta nei confronti di un modello di femminilità culturalmente imposto.

La rivista Psicoterapia e Scienze Umane, in occasione del suo Cinquantesimo Anniversario (2016, 50, 3), ha pubblicato un numero speciale (“Cosa resta della psicoanalisi. Domande e risposte”) dedicato alla situazione attuale della psicoanalisi. Al sondaggio hanno risposto sessantadue psicoterapeuti noti a livello internazionale, invitati a rispondere a dodici domande su alcune questioni centrali della psicoanalisi. Data l’autorevolezza degli intervistati, appartenenti a differenti scuole o società psicoanalitiche italiane, europee e americane, l’insieme delle loro risposte contribuisce a delineare un quadro rappresentativo della situazione attuale della psicoanalisi come disciplina. Mentre su alcuni quesiti le opinioni sono più vicine, su altri vi sono schieramenti opposti. Anche se in linea di massima si riconosce il rischio di marginalizzazione della psicoanalisi, l’attuale proliferazione degli orientamenti non è generalmente ritenuta negativa. Alcuni concetti, come quello di complesso edipico, sono stati ormai rivisti in una prospettiva relazionale, mentre altri mantengono la loro centralità, come quelli che descrivono più direttamente il lavoro clinico. Su alcune questioni, come il rapporto con la ricerca empirica e con le neuroscienze, oltre che sul training, le opinioni sono particolarmente divise.

La serie televisiva 13 Reasons why trasmessa da Netflix ha ottenuto un successo mondiale. Poiché tuttavia tratta di un argomento delicato quale quello del suicidio adolescenziale (la protagonista si toglie la vita dopo aver inciso tredici audiocassette nelle quali ricostruisce l’ultimo periodo della sua vita individuando tredici soggetti come i responsabili del suo gesto) ha anche suscitato un acceso dibattito sull’opportunità che i giovani fossero esposti ad un messaggio di questo tipo e al rischio emulativo che esso comporta. Gli Autori analizzano in un’ottica psicoanalitica alcuni dei temi più importanti della serie quali quelli relativi alle dinamiche gruppali, al bullismo e al bisogno di riconoscimento narcisistico nell’adolescenza contemporanea. Una particolare attenzione viene dedicata alla questione della difficile integrazione fra corpo sessuato e corpo idealizzato nel corso del processo di mentalizzazione tipico dell’adolescenza femminile. Infine viene esaminato, all’interno della serie il ruolo svolto dagli adulti e le difficoltà che essi incontrano nel trovare una modalità di contatto con gli adolescenti. L’obiettivo è quello di fornire a operatori della salute e a insegnanti alcune chiavi di lettura che utili per comprendere meglio le caratteristiche del patto che alcuni giovani intrattengono con la morte