Condividiamo l’editoriale di Matteo Lancini per La Salute di Repubblica.
I social network sono entrati prepotentemente nella nostra vita, modificando radicalmente la quotidianità di chiunque abbia la possibilità di connettersi a Internet. Le cosiddette reti sociali hanno trasformato, tra le altre cose, l’informazione e la comunicazione, anche quella tra scuola e famiglia, come dimostrato dalla pervasività delle chat di classe di whatsapp, un sistema di messaggistica istantanea sempre più simile a un circuito di interazione sociale, che promuove e orienta i processi decisionali istituzionali.
Nonostante siano evidenti le ricadute di questa diffusione su tutte le fasce della popolazione, il dibattito scientifico si concentra spesso sulla relazione intrattenuta da ragazze e ragazzi con i social media. Se è abbastanza scontato che si debba vietare o comunque limitare l’utilizzo dei social network durante l’infanzia, e se è noto che la popolazione adulta ne fa un uso sconfinato, spesso sconsiderato ed esagerato, invece la relazione tra benessere/malessere adolescenziale e utilizzo dei social network è più controversa. Una recente e imponente indagine sulla popolazione del Regno Unito (Amy Orben e collaboratori, 2022) ha analizzato una collezione di dati riguardanti circa 84 mila cittadini di età compresa tra i 10 e gli 80 anni, tra cui quelli relativi a 17.409 giovani di età compresa tra i 10 e i 21 anni. Nella ricerca si è cercata una connessione tra l’uso stimato dei social e la percezione di soddisfazione della propria vita, misurata attraverso quesiti riguardanti l’aspetto fisico, la famiglia, le amicizie e la scuola. Le analisi dei dati hanno evidenziato dei periodi chiave, in adolescenza, in cui l’uso dei social network è associato a una diminuzione della soddisfazione per la vita nei 12 mesi successivi.
In particolare, nelle ragazze tra gli 11 e i 13 anni l’utilizzo dei social è associato a una minore soddisfazione per la vita nell’anno seguente. Per quanto riguarda i ragazzi, invece, questa stessa associazione si verifica più tardi, tra i 14 e i 15 anni. Le differenze di età e genere suggeriscono che la sensibilità all’uso dei social potrebbe essere collegata agli sviluppi cerebrali e della pubertà, più tardivi nei maschi rispetto alle femmine. Inoltre, l’aumento dell’utilizzo dei social è associato a una minore soddisfazione della vita a 19 anni, per entrambi i sessi. Sono gli stessi ricercatori, comunque, a sottolineare come sia necessario approfondire questi risultati attraverso altre ricerche e come la comprensione della relazione tra soddisfazione nella vita e utilizzo dei social in adolescenza debba tener conto di molte altre variabili, soprattutto in considerazione della vulnerabilità, mobilità e fluidità di questa fase del ciclo di vita.
La prudenza dei ricercatori più seri, tuttavia, insieme alla evidente difficoltà odierna nell’individuare le variabili atte a misurare la dipendenza da internet, dovrebbero indurre genitori, insegnanti ed educatori ad accettare il fatto che la crescita adolescenziale non può che avvenire anche tramite esperienze sociali in internet. Sono stati gli adulti, e non gli adolescenti, ricordiamolo, a costruire un universo relazionale dove non è più possibile effettuare l’antica distinzione tra vita reale e vita virtuale, ormai intrecciatesi indissolubilmente, fino a costituire una forma di esistenza ibrida in cui si vive sempre in contatto anche quando si è da soli. Per quanto riguarda l’utilizzo di parent control sui dispositivi dei figli, le indicazioni provenienti pure da alcuni esperti che invitano alla disintossicazione dai social, per alcuni giorni o almeno all’ora di cena, non fanno altro che attivare madri e padri in iniziative poco prospettiche rispetto alla fascia della popolazione adolescenziale. Si tratta di interventi che vorrebbero essere autorevoli e che, in realtà, testimoniano tutta la fragilità di adulti incapaci di accettare le conseguenze dei modelli di identificazione che hanno proposto sin dalla nascita dei figli e dell’iperconnessione della società odierna.
Gli adolescenti hanno bisogno di genitori in grado di interessarsi a cosa accade ai propri figli quando essi navigano in internet, capaci di chiedere loro, ogni sera, “come va su internet?”, piuttosto che di investigatori privati in missione segreta nello smartphone di figli destinati, inevitabilmente, a prendere decisioni e a effettuare scelte, oggi anche in rete, fuori dallo sguardo di mamma e papà. L’assunzione della responsabilità adulta oggi transita attraverso la capacità di cogliere il significato specifico dell’utilizzo di internet nel percorso di crescita di ogni adolescente, non nell’applicazione standardizzata di formule privative e limitanti, più adatte a contenere le proprie angosce che a sostenere la crescita dei figli.
Diventare un nuovo soggetto è il compito ineludibile dell’adolescente che deve divincolarsi dall’immagine del bambino che è stato, per poter fare spazio al nuovo Sé nascente. Il riconoscimento e la sintonizzazione sono gli ingredienti fondamentali che i genitori possono mettere in campo per sostenere i figli in questa difficile impresa. Controllare e limitare gli adolescenti non basta, sia nella vita reale che nella vita virtuale.