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Condividiamo l’editoriale di Matteo Lancini per La Stampa.

Eccoci nuovamente qui, c’era da aspettarselo. Ogniqualvolta un terribile e violento atto criminale giovanile si guadagna l’attenzione mediatica e scuote la coscienza del popolo italiano, si alza la voce di chi sostiene che bisogna abbassare l’età della punibilità minorile. L’ho visto accadere decine di volte, nonostante la giustizia minorile italiana sia una delle migliori del mondo e rappresenti un modello di ispirazione per le altre nazioni. Se un individuo che compie il reato ha meno di 14 anni si può, e si deve, intervenire con azioni educative, riabilitative e di elaborazione del significato del terribile gesto. C’è sicuramente molto da fare e da migliorare, ma questo accade spesso attraverso la messa in atto di procedimenti amministrativi pensati in sintonia con l’età e la storia dell’autore del reato e calibrati in funzione della singola situazione. Tra i 14 e i 18 anni esiste, inoltre, la possibilità della “messa alla prova”, un’iniziativa intelligente e sofisticata che, in considerazione della sua efficacia, è stata estesa anche alla giustizia adulta. Si tratta di visioni davvero autorevoli e rigorose, che vengono messe in atto per consentire all’autore del reato di non commettere più il gesto, a beneficio non solo suo ma dell’intera società in cui vive e a cui
appartiene. Essere adulti significa, oggi più che mai, provare a ragionare, dare senso alle azioni delinquenziali giovanili e intervenire attraverso risposte mirate, certamente meno semplici e impattanti di slogan del tutto inefficaci e buoni per tutte le stagioni. Vietare, proibire, multare ecco i mantra di chi spaccia per autorità e autorevolezza tutta la propria fragilità di adulto incapace di prendersi carico della realtà psicosociale odierna. Perché non multare anche gli insegnanti dei minori che non frequentano la scuola, oltre ai loro genitori? Perché non multare anche i politici e tutti coloro che partecipano quotidianamente allo show massmediatico che alimenta sottocultura? Oggi i modelli di identificazione proposti ai bambini sin dalla più tenera età provengono da tante altre agenzie e non solo dalla famiglia e dalla scuola. Trovare e punire il colpevole, invece di comprendere la realtà straordinariamente complessa che sta promuovendo fenomeni adolescenziali come il ritiro scolastico e sociale, i gesti autolesivi, tra cui gli incidenti stradali, sempre più spesso suicidi mascherati. Sarebbe davvero utile organizzare a scuola interventi preventivi ed educativi sintonici con il funzionamento affettivo e relazionale dei nuovissimi adolescenti e contrastare l’importante crisi identitaria e di futuro che li attanaglia, altroché perdere tempo con l’ennesima campagna contro l’ingresso dello smartphone a scuola o con l’innovativa idea di infierire su genitori già di per loro disperati e distrutti dai sensi di colpa perché il proprio figlio non riesce a frequentare la scuola italiana. Aggiungere risorse, investire, anche economicamente, nei servizi educativi, preventivi e di cura rivolti alle nuove generazioni richiede pensiero, riflessione, identificazione, richiede autorevolezza e rigore adulto. Troppo
complicato e poco conveniente, meglio trasformare la propria fragilità in slogan e iniziative punitive, certamente di maggior impatto elettorale. Oggi l’adulto autorevole non fa audience, non serve, oggi serve essere influencer.