Seleziona una pagina

Condividiamo l’intervista di Giampiero Rossi a Matteo Lancini per corriere.it sui recenti episodi di cronaca espressione della sofferenza degli adolescenti.

«Ora, e sempre di più, la disperazione e la rabbia prende la forma di un’appartenenza a un gruppo di coetanei. E si esprime attraverso il corpo, diventato il megafono di un dolore muto». Matteo Lancini — psicoterapeuta, docente di Compiti evolutivi e clinica dell’adolescente e del giovane adulto alla Bicocca, presidente della Fondazione Minotauro — lavora a tempo pieno su un materiale umano delicato come sono i ragazzi.

Professore stiamo assistendo a episodi allarmanti. Cosa sta succedendo ai ragazzi delle nostre periferie?
«Esiste un tema di futuro, di assenza di prospettive, di paura di non farcela che la pandemia ha esacerbato. E da diversi anni la modalità privilegiata per esprimere questo disagio è la fisicità, il corpo. Lo vediamo anche nei comportamenti individuali, suicidi, disturbi alimentari e ritiro sociale».

Cioè una protesta senza sbocchi, senza obiettivi?
«Una reazione rabbiosa e senza progettualità. Non più la contestazione contro qualcosa o qualcuno ma piuttosto la necessità di far prevalere il proprio gruppo. Ma dobbiamo anche distinguere gli episodi di delinquenza, anche organizzata».

Nel caso di piazza Duomo non c’è anche un tentativo di conquista fisica, di dettare le regole in uno spazio al centro della città?
«Interessa molto di più lo spazio digitale. Le risse sono una deriva della sottocultura televisiva: in tv danno visibilità e notorietà. Comunicano al mondo che ci sei. Ed è quello che questi ragazzi mettono in atto filmandosi in situazioni che li vedono protagonisti spesso lontano dal centro».

E non ci si rende conto della gravità di ciò che si fa?
«Io sono convinto che vi sia consapevolezza. Internet è un luogo reale per loro, dove si conteggia il valore di ciò che hai fatto, dove si costruisce il futuro, ciò che succede nel web può renderti qualcuno, come succede agli influencer».

Ma cosa si può fare per dare a questi ragazzi risposte diverse?
«Servono iniziative diverse nei diversi territori e ambienti: la politica è consapevole di aver trascurato questa popolazione che non vota».

E quindi da dove si dovrebbe partire?
«Da una scuola aperta lungo le 24 ore e connessa a internet. Per esempio nel settore dei videogiochi si concentrano tante progettualità dei ragazzi, non va sottovalutato. Poi occorre trasmettere un messaggio del tipo “ti stiamo aspettando, sei tu il futuro”, non di esclusione che non offre prospettive. E poi le famiglie devono interessarsi a cosa fanno i loro figli su internet. E tenere a bada l’iperidealità, cioè l’ossessione dell’anticipazione delle esperienze che non ammette inciampi e fallimenti. È roba che fa molto male».

Fonte: corriere.it