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Condividiamo l’intervista di Valeria Pini a Matteo Lancini per Repubblica.it.

Adolescenti smarriti e adulti fragili. Madri e padri inconsapevoli, calati un ruolo che non sembra essere il loro. Genitori che vorrebbero imporre ai figli modelli che non corrispondono ai desideri dei ragazzi. Figli che si adattano alle esigenze di chi dovrebbe capirli. Quanto è difficile crescere nell’epoca in cui tutto sembra vacillare e chi dovrebbe guidare la famiglia o la società fa emergere sempre più le sue difficoltà.

Un tema che è il filo conduttore del libro ‘Sii te stesso a modo mio’ Essere adolescenti nell’era della fragilità adulta (Raffaello Cortina Editore) di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro.

Professor Lancini, da tempo molti genitori cercano di influenzare il futuro dei figli. Cos’è cambiato, perché la situazione sembra ancora più critica?

“In passato si voleva un figlio ‘uguale’ al genitore o si cercava di avere attraverso di lui un riscatto di quello che non si era fatto o avuto. Oggi non si cresce più un bambino con proiezioni ideali, ma si fa di più. Chiediamo al ragazzo se sta bene cercando di ‘sovraintendere’ la sua mente. Siamo in una società che non si limita più a chiedere ai ragazzi di essere all’altezza delle nostre aspettative, ma li costringe a seguire un mandato paradossale: “Sii te stesso, ma a modo mio”.

Cosa vuol dire?

“Per molto tempo, scuola e famiglia hanno cresciuto i bambini come piccoli adulti. Li abbiamo spinti a socializzare, li abbiamo protetti dall’infelicità e dal dolore. Abbiamo cercato di intercettare i loro talenti dai primi anni di vita. Abbiamo creato dei ‘cuccioli d’oro’ mandandoli a corsi di danza, di lingue o calcio. Sono cresciuti con aspettative ideali che sono crollate in adolescenza. Quando si cresce il ‘sogno’ svanisce. Ci si trova di fronte a un corpo che è diverso da quello atteso. Questa trasformazione è in atto da tempo, ma è stata la pandemia ad aver smascherato il rischio di un’inversione dei ruoli: mentre i ragazzi si adattano alle esigenze degli adulti pur di farli sentire tali, questi ultimi sono alle prese con una crescente fragilità”.

Ma la responsabilità è solo delle famiglie?

“Sappiamo che oggi i genitori lavorano e i bambini passano tanto tempo a scuola e fuori casa. Tutto questo è accaduto anche a causa dei modelli imposti dai mass media. I ragazzini si influenzano tra loro. Famiglie e scuola non sono riusciti a prevenire questo problema e ora se ne devono fare carico”.

L’ansia dei ragazzi è un problema sempre più diffuso. Aumentano molti disturbi.

“Ci sono diverse situazioni che spesso si intrecciano. Parlerei di polisintomi. In passato, soprattutto prima della pandemia, ci si trovava di fronte a un singolo sintomo. Oggi uno stesso ragazzo può avere un disturbo alimentare, affrontare l’ansia da prestazione e ‘tagliarsi'”.

Gli adulti non sono in grado di aiutarli o  siamo noi ad appoggiarci a loro?

“Spesso chiediamo ai ragazzi di farci sentire adeguati. Li ascoltiamo di più rispetto a quello che facevano i nostri ‘padri’ ma non sappiamo accogliere le loro emozioni. La loro rabbia, tristezza o sofferenza ci sembra un affronto personale. In questo modo non li accogliamo, chiediamo loro di essere loro stessi ma a modo nostro”.

Fra i problemi c’è, come abbiamo detto l’ansia di prestazione.

“Chiediamo ai ragazzi di non essere competitivi, ma a scuola ci sono i voti e i bollini rossi o blu per premiarli o meno. Nello sport possono far parte della squadra A o B. Tutto è competitività. Dobbiamo invece aiutarli ad affrontare i fallimenti. Diamo loro indicazioni contradditorie invece di occuparci della loro unicità. Sono unici e devono capire che per essere felici non devono seguire modelli stereotipati”.

Quali sono i messaggi contradditori più diffusi?

“In questa società anche il corpo è ingabbiato, i bambini non si possono muovere perché abbiamo paura delle loro cadute. Poi però ci lamentiamo perché stanno chiusi in camera davanti al computer. E parliamo di dipendenza da web che non esiste nella letteratura scientifica”.

Si crea un ‘muro’ fra genitori e figli?

“Quando i ragazzi stanno male non parlano con i genitori perché li vedono troppo fragili. E sono loro a capire molte cose del nostro modo di funzionare. Noi non siamo in grado di farlo. Non accettiamo il loro malessere e a volte lo etichettiamo come dipendenza per ridurre le nostre responsabilità. Per mettersi in una posizione di ascolto bisogna essere saldi, soprattutto se ‘l’altro’ è un figlio che soffre. Scuola, politici e famiglie hanno grosse responsabilità. I ragazzi meritano ascolto”.

Cosa devono fare gli adulti?

“Devono essere autorevoli. I ragazzi o si autodistruggono, con atti di autolesionismo, o fanno proteste pacifiche. Lo abbiamo visto nelle università per il caro affitti. Cercano un futuro che non vedono.  Qualcuno, per la disperazione si toglie la vita. Un tema, quello del suicidio, con i casi in aumento, che andrebbe arginato. Gli adulti devono pensare ai ragazzi e dare loro scuole migliori, dove non ci dovrebbero essere i voti ma vere valutazioni. Solo dando loro un mondo migliore possiamo sostenerli nella realizzazione di sé”.