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Il sito Doppiozero.com ha intervistato tre psicoanalisti, Massimo Recalcati, Silvia Lippi e Matteo Lancini, su come la pandemia scatenata dal coronavirus abbia modificato, e probabilmente modificherà ancora anche a breve scadenza, i comportamenti che riguardano i corpi e le relazioni fisiche tra gli esseri umani. Condividiamo il contributo di Matteo Lancini.

Quando pensiamo al rapporto dialettico che gli individui hanno con la dimensione del desiderio va fatto un distinguo e una premessa che consenta di inquadrare più propriamente di cosa si stia parlando. Il primo punto riguarda l’età di chi desidera e il secondo riguarda la rappresentazione soggettiva che assume l’oggetto del desiderio da parte di chi lo desidera. Pensando alle generazioni nate fino alla prima metà degli anni settanta, possiamo ritrovare una capacità di dialogare con il desiderio come dimensione che fa parte della crescita e della quotidianità del soggetto. In questa cornice, aumento del desiderio, rinuncia al desiderio, confronto tra desiderio e realtà possono essere considerati oggetti di una dialettica attiva che si confronta con gli eventi e il susseguirsi degli ostacoli, più o meno intensi, con cui la soddisfazione del desiderio si trova costretta a fare i conti. Desiderio e paura ai tempi del coronavirus diventano i poli dialettici nella mente di adulti che di fronte ai divieti possono posizionarsi lungo un continuum che ha due estremi. Da un lato chi di fronte al giogo sente una pressione desiderante maggiore, incontenibile, che muove all’azione come forma bioniana di difesa (l’attacco), dall’altro chi invece risponde al rischio e al divieto paralizzandosi, spegnendosi, fuggendo quindi dal desiderio e riuscendo ad addomesticarlo fino a neutralizzarlo. Gli adulti nati dopo la seconda metà degli anni settanta sono i primi a risentire di una cornice sociale e familiare più propriamente narcisistica e che per questo hanno sviluppato nuove forme di dialogo con il desiderio, che diventa progressivamente meno centrale nella loro organizzazione psichica. Così arriviamo a rintracciare nella mente degli adolescenti odierni solo rari fossili, preziosi reperti archeologici del desiderio. Esso ha ceduto il passo al bisogno, a una dimensione più antica e primitiva ma anche più profonda. Il funzionamento psichico dei nuovi adolescenti è governato dal bisogno di essere presenti nella mente dell’altro, dal bisogno di riconoscimento e valorizzazione del Sé. Per gli adolescenti, ciò che è venuto meno in questo periodo non è tanto l’abbraccio, la carezza, il bacio, ma lo sguardo sociale allargato, i riflettori puntati che danno testimonianza del loro esistere come esseri belli, apprezzabili e amabili. Il loro Sé in queste settimane si è potuto riflettere nelle telecamere di amici e parenti ma l’entusiasmo dei primi tempi ha ceduto il posto alla noia e all’apatia, moderne forme di protesta, poiché ovviamente per crescere solo questo non basta. Non è sufficiente una vita fatta di relazioni virtuali che inevitabilmente filtrano lo sguardo, riducendo la possibilità di capire davvero quanto si sia presenti nella mente dell’altro, e in che modo, poiché manca la verifica che quotidianamente la scuola e le altre esperienze pomeridiane e serali garantivano. In questi giorni, gli adolescenti si annoiano in silenzio, non combattono, non forzano presidi, non sfidano la polizia e i divieti, come invece qualche adulto ha tentato di fare per andare dall’amante, a fare jogging o per raggiungere la casa al mare, o in montagna, nei giorni di Pasqua.

La disciplinata accettazione che i ragazzi hanno fatto delle disposizioni adulte innescate dalla pandemia, mi sembra dettata da una loro attitudine esistenziale, presente ben prima del coronavirus, a farsi carico degli adulti, dei loro bisogni, desideri e misfatti, senza ribellarsi mai. Subire il male necessario di distanziarsi, di fermare il correre degli eventi del quotidiano che disegna la crescita adolescenziale, travestendosi tutti da hikikomori, è possibile grazie al bisogno di essere amati facendo ciò che gli altri si aspettano da loro. Di fronte a un virus che li risparmia, ma che non è altrettanto magnanimo con i loro nonni e genitori, i ragazzi e le ragazze decidono di bloccarsi poiché prevale il bisogno di proteggere dall’angoscia, dalla loro fragilità e dal rischio di morte, i grandi che così tanto li hanno amati e venerati e di cui sentono di avere ancora profondamente bisogno.

Non credo che questo modo di cercare ammirazione e amore attraverso l’estetica, la performance, che tanto perseguono prima di tutti gli adulti, verrà messo in discussione in futuro, né il modo di amare e di cercare il contatto da parte dei ragazzi.

L’occasione per il cambiamento viene data piuttosto agli adulti che potrebbero cercare nuove forme di autorevolezza e di vicinanza con gli adolescenti, attraverso un vero percorso di responsabilizzazione di ragazze e ragazzi. Diamo loro la possibilità di investire maggiormente nel sociale, diamogli compiti, non mettiamogli il silenziatore e le catene; compiti che li facciano sentire parte della comunità, proprio grazie alle loro giovani risorse e alla loro pseudoimmunità, pensando non che possano sfruttarla per celebrare il loro egoismo, ma per sentirsi parte del mondo che li circonda e che gli adulti hanno disboscato, plastificato, deturpato.

Un possibile scenario potrebbe essere che l’effetto della pandemia porti a una celebrazione e a un’idolatria ancora più potente e marcata del corpo giovane e prestazionale, così come a un incremento proporzionale dell’ambivalenza nei confronti dei giovani, detentori della bellezza, della salute e dell’immunità, verso cui temo che possano trovare spazio riflessioni e posizioni antagoniste, mortificanti e poco sintonizzate con la loro reale tensione e con il loro funzionamento psichico, affettivo e relazionale.

L’AIDS portava con sé uno stigma sociale più marcato del coronavirus. Nel lavoro che all’epoca avevamo condotto con gli adolescenti sieropositivi, le resistenze nel comunicare loro la diagnosi derivavano anche dal fatto che il disvelamento della sieropositività era strettamente connesso al disvelamento di segreti familiari, legati alla tossicodipendenza o al tema della promiscuità sessuale dei propri genitori naturali. Non credo che assisteremo a dei cambiamenti nel modo di vivere la sessualità tra i ragazzi, che già vivevano in un’epoca generale di recessione sessuale. Quindi, nell’epoca del narcisismo, della pornografizzazione, dell’individualismo e delle possibilità offerte dalla procreazione artificiale il desiderio è sempre meno connotato in termini di impulso e sessualità, ma riguarda maggiormente il tema del successo e del riconoscimento, che oggi anima il concetto di coppia e di amore. La ricerca di valore corrisponde alla ricerca dello sguardo di ritorno dell’altro, all’apprezzamento derivante dall’altro e meno dallo scambio e dall’accoppiamento con l’altro. In questo senso il sexting e il selfie hanno assunto sempre più importanza. Gli adolescenti cercheranno ancora il contatto, ma non è il sesso la cosa che è più mancata loro in questa epoca di reclusione. L’industria del sesso a distanza (sensori tattili, esperienze immersive tecnologiche) continuerà a svilupparsi ma troverà nel target degli adulti i principali interlocutori, così come già avviene, secondo i dati, nella frequentazione dei siti pornografici e d’incontro.

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