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Condividiamo l’intervista di Monica Coviello a Matteo Lancini per Vanity Fair

Nessuna valutazione numerica, niente voti. Al liceo Morgagni di Roma, sette anni fa è partita una sperimentazione (oggi allargata a un’intera sezione): gli studenti vengono interrogati e fanno prove di verifica, ma non vengono valutati con un numero: i professori spiegano loro che cosa c’è da fare per migliorarsi e su quali aspetti sarebbe bene lavorare di più. Ci sono già due classi di diplomati col sistema super sperimentale.

Ma questo modello funziona davvero? Ne abbiamo parlato con Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro di Milano. «Io sono assolutamente favorevole a questo metodo. Da almeno 30 anni, da quando lavoro con la scuola, c’è consapevolezza di quanto sia importante la valutazione e di quanto sia riduttivo il voto numerico. Che, pure se per gli insegnanti è piuttosto comodo da usare, non può esprimere la complessità di una valutazione seria».

Perché, allora, sono pochissime le scuole che utilizzano questo metodo?
«Perché molti docenti pensano che, senza la possibilità di usare i voti e le bocciature, la figura dell’insegnante perda di autorevolezza. In realtà, è vero il contrario: le valutazioni che servono davvero sono quelle articolate, che spiegano allo studente quali sono i punti di debolezza su cui lavorare. Senza alimentare la competizione, che invece, nelle scuole italiane, viene promossa fin dalla scuola elementare».

Abolendo il voto, non si rischia di togliere un punto di riferimento?
«Sì, ma solo agli insegnanti. Uno studente è più disorientato da un asettico numero che da una spiegazione sulla sua prestazione individuale, che invece gli indica la strada per migliorare».

Le classi sperimentali del Morgagni erano considerate, dagli altri studenti, le sezioni «dove si perde tempo», quelle meno rigorose.
«Che rigore c’è nel dare un 5 o un 7? È molto più faticoso, serio e impegnativo fare valutazioni sulle aree di debolezza dei ragazzi e dedicare loro del tempo per cercare di capire i loro punti di forza. I grandi insegnanti e i grandi direttori degli uffici scolastici lo hanno sempre avuto in mente: si dovrebbe fare una scuola senza voti e senza bocciature, perché non servono e hanno elevatissimi costi sociali. Sono armi sanzionatorie, che in realtà tolgono significato al ruolo del docente».

Non si rischia di creare una scuola troppo «facile», togliendo i voti?
«Non dare il voto non significa accettare qualsiasi prestazione. Se uno studente non sa affrontare bene l’interrogazione, l’insegnante lo può far tornare a studiare, per poi interrogarlo di nuovo. Anche senza sentenziare il voto con un numero, quando è necessario, si possono dire cose severe. Che, però, devono valere come spiegazione per capire come è necessario lavorare».

Gli studenti del Morgagni dicono di essere più sereni.
«La ricerca conferma una correlazione straordinaria tra il benessere scolastico e il successo negli apprendimenti. Ovviamente, anche in una scuola senza i voti gli studenti si possono stressare, ma almeno non si sentono in competizione con i compagni, né falliti perché hanno preso un 4».

Certo che, così, diventa una scuola più complessa da gestire.
«La scuola è il luogo più importante di tutti, dove i ragazzi costruiscono il futuro e il senso della vita: è giusto che sia complessa e articolata».

 

Fonte: vanity fair