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Riportiamo un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 8/11/2015 sul tema del sexting con le interviste a Matteo Lancini e a Gustavo Pietropolli Charmet.

1. Cos’è il sexting? Per sexting si intende spedire, ricevere, condividere testi, immagini o video che riguardano la sfera sessuale e che possono essere diffusi con il telefonino, i tablet, attraverso i social network, i siti, i blog, via sms, mms, bluetooth, con email, chat… Chiunque abbia a che fare con l’argomento (dalla polizia postale alle associazioni che seguono i fenomeni legati a Internet) sa che nel nostro Paese il sexting ha messo radici nella terra dell’adolescenza, soprattutto fra i 13 e i 17 anni, anche se la questione è tutt’altro che sconosciuta agli adulti. Sexting in aumento, dicono gli esperti, ma parliamo di stime perché studi approfonditi non ce ne sono. «L’entità esatta non è ancora chiara ma i dati raccolti finora ci dicono che la condivisione di materiale autoprodotto fra minori è crescente, non in modo allarmante ma crescente» conferma il direttore della polizia postale, Roberto Di Legami, che vede la questione dal punto di vista dei reati che produce. E di sicuro ne produce se a partire dal sexting si arriva al «sextorsion», fusione fra le parole «sesso» ed «estorsione» che sta ad indicare un’altra parabola ascendente della Rete: l’estorsione sessuale.

2. Perché gli adolescenti lo fanno?
Per dirla con lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet «lo fanno per pura e semplice ricerca del potere». In sostanza si  spogliano per verificare il potere della propria seduttività erotica. Finché sono adulti e consapevoli va tutto bene, i problemi ovviamente nascono con i minorenni. Internet è impersonale, abbassa le barriere del pudore e, soprattutto, ha un pubblico planetario che guarda e clicca sulla manina con il pollice alzato — i «like» —, spesso vera e unica attrazione sia per chi decide di condividere un’immagine dal contenuto sessuale esplicito sia per chi diffonde immagini al trui e resta alla finestra virtuale del Web a vedere l’effetto che fa. Tanti «like» significa autostima, tanto consenso che magari si è cercato inutilmente nel popolo reale prima che in quello virtuale.

È la ricerca del successo e dell’affermazione di sé non trovati nella vita quotidiana. Ma per gli psicoterapeuti è anche un’ammissione di fragilità e di disagio, un campanello d’allarme che rivela quel sentirsi inadeguati tutto adolescenziale davanti alla vita reale. Tutto questo immaginando la volontà di apparire, appunto. Ma come ci raccontano molti casi di cronaca, non sempre la condivisione di contenuti sessuali passa dalla volontà degli interessati.

3. Quali sono i rischi?
Facciamo l’esempio più classico. Una coppia minorenne che si scambia fotografie a sfondo sessuale via telefonino. Tanto per capirsi: lo scambio in sé sconfina nel terreno della pedopornografia nel momento stesso in cui la foto viene diffusa. È un reato. Dopodiché è chiaro che il problema giuridico non si porrà mai se le immagini resteranno per sempre nella memoria del telefonino di chi le riceve. Ma le storie di chi ha finito col diventare vittima di una diffusione non voluta insegnano che anche le intenzioni più innocenti possono cambiare nel tempo, per esempio se quella coppietta si lascia e uno dei due si vendica proprio facendo diventare pubblici gli scatti. Ernesto Caffo, docente di neuropsichiatria infantile all’Università di Modena e Reggio Emilia nonché fondatore di Telefono Azzurro ricorda un altro dei rischi del sexting: «Non è certo una novità scoprire che dietro account di persone che si dichiarano giovanissime ci siano alcune volte adulti che usano la Rete per adescare minori.

Capita che in pochi secondi un’azione fatta senza la consapevolezza delle conseguenze abbia un impatto poi drammatico sulla vita di questi ragazzi che vivono nella Rete, mentre i loro genitori in quel mondo si muovono incerti e insicuri».

4. Cosa possono fare i genitori?
Ecco il problema dei problemi. Tanto per cominciare «bisogna stare calmi perché siamo adulti» è il consiglio base di Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro (istituto di analisi dei codici affettivi). «L’errore più grave è mostrare lo stato di ansia e di agitazione che impedisce ai ragazzi di trovare nel padre o nella madre una risorsa per chiedere aiuto. Punire, arrabbiarsi, togliere il telefonino, è un modo per riprendersi l’autorità a basso tempo ma non funziona. Così minimizzeranno, nasconderanno, banalizzeranno. E invece bisogna parlare, lasciare lo spazio perché loro esprimano le ragioni per ciò che hanno fatto».

Parlare significa «far capire che c’è un disvalore penale in quello che fanno» riassume Carlo Solimene, direttore della Divisione investigativa della polizia postale. «Noi solo l’anno scorso abbiamo incontrato 400 mila giovani per fare educazione alla Rete. Sarebbe una buona cosa se prima di noi la facessero i genitori spiegando ai figli che in Internet niente è mai anonimo e che quindi non vale pensare di non essere scoperti oppure che diffondere un’immagine a sfondo sessuale può produrre danni enormi alla persona e guai giudiziari molto seri». Charmet rimuove il problema alla radice: «Sarebbe meglio rinunciare a guardare cosa c’è nel telefonino».