Condividiamo l’articolo di Sara De Giorgi per Nostrofiglio.it con l’intervista a Matteo Lancini.
Recentemente alcune scuole italiane hanno scelto di non adoperare il sistema numerico dei voti per la valutazione. In particolare, sembrerebbe che la sperimentazione condotta già da 7 anni in una sezione del Liceo scientifico Morgagni di Roma, nella quale sono stati aboliti del tutto i voti numerici, sia stata efficace.
Gli alunni che hanno frequentato la sezione del liceo suddetto, diplomati da uno o due anni, e che sono ora all’Università avrebbero affermato di avvertire una marcia in più rispetto ai loro colleghi di facoltà. Dunque, funziona davvero la scuola senza voti?
Lo abbiamo chiesto a Matteo Lancini, psicologo psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro, il quale ci ha parlato in maniera dettagliata delle peculiarità e dei vantaggi derivanti dalla scelta di non utilizzare il sistema dei voti nelle scuole.
«Al di là della sperimentazione specifica, posso affermare che non funziona certamente bene la valutazione scolastica basata sui numeri. Nonostante ciò la valutazione è indispensabile.
Ritengo da diversi anni, a partire da esperienze fatte in questi anni di confronto anche con vertici della scuola italiana, che pensare a un sistema di valutazione più articolato e più complesso, meno semplice di quello dei voti, non può che essere un’ottima soluzione.
Il problema è che solo pochi istituti scolastici riescono a sperimentarlo, mentre la maggior parte non accetta l’assenza di numeri, la quale abbasserebbe invece il livello di competizione tra studenti.
Spesso si sente dire che la scuola contrasta la rivalità, in realtà è uno degli ambienti che più alimenta la competizione in una società già molto competitiva. Basti pensare che in molte scuole primarie si danno bollini rossi e bollini verdi sin dal primo giorno di scuola», ha precisato lo psicologo psicoterapeuta Lancini.
Matteo Lancini ritiene che le valutazioni migliori sono quelle che non consentono immediatamente un confronto in meglio o peggio con i compagni, ma che permettono ad ogni studente di capire quali sono i suoi punti di debolezza e i suoi punti di forza.
«Serve dunque una valutazione immersa nella relazione, non numerica, che non fa subito pensare a cosa ha fatto di più o di meno l’altro. Questa è una soluzione che si sostiene in molti ambienti di studio da vari anni.
Personalmente le valutazioni che ricordo di più sono legate non al numero, ma ai momenti in cui mi veniva avvicinata o spiegata la risorsa per affrontare il limite: dopo ero sempre più motivato. In fondo ciò che conta nelle scuole è che si raggiungano gli apprendimenti: lo si può fare attraverso valutazioni relazionali in cui si spiega all’alunno quali sono gli errori che ha fatto.
Vi sono ad oggi vari insegnanti che non si appellano all’idea di dover mettere voti: se un ragazzo va male all’interrogazione, gli dicono di tornare dopo qualche giorno e gli suggeriscono alcuni consigli e strategie per raggiungere l’obiettivo».
I voti sono importanti o non sono importanti?
«Servono di più agli adulti per semplificare il sistema valutativo. Anche se esiste una necessità di confrontarsi sui livelli di apprendimento, quest’ultimo è comunque una vicenda complessa e articolata.
Capisco che dato che noi abbiamo in mente una scuola basata sulla disciplina intesa come materia singola ci sia l’idea che il numero sia di qualche utilità. Io ritengo che le valutazioni migliori di un adulto verso un proprio studente sono quelle che spiegano qualitativamente i punti di forza e i punti di debolezza, e che servono all’alunno per capire dove migliorare.
L’utilità del numero è giustificata con tante teorie, ma solo perché sarebbe molto più impegnativo trovare un sistema di valutazione che implichi spiegazioni mirate.
La scuola dovrebbe ragionare nei termini del raggiungimento degli obiettivi e non incrementare una competizione che è già esagerata, ed è spesso alimentata dalle famiglie stesse, contente dei voti alti dei figli. L’insegnante deve spiegare punti di forza e punti di debolezza, non dare numeri».
«Penso che l’assenza di voti aumenti la motivazione e riduca un tipo di motivazione che oggi è una sorta di premio da portare a casa e da presentare ai genitori. Attualmente i ragazzi non comunicano ai genitori un brutto voto non perché temono la reazione, ma perché hanno paura di deluderli, di distruggerli, come se il voto fosse la cartina tornasole della capacità genitoriale.
La volontà di raggiungere il numero diventa l’obiettivo e abbassa la motivazione. Tutto si traduce in una prova fine a se stessa per avere un numerino in pagella. Invece gli apprendimenti servono per costruire il futuro, per capire le aree in cui si va bene e la aree in cui vi sono criticità.
Per quanto riguarda le famiglie, preciso che è naturale che siano contente se i figli hanno buoni voti. La valutazione è importante, e con il mio discorso voglio sottolineare che dovrebbe esserlo ancora di più e che sarebbe giusto che fosse realizzata nell’ambito della relazione tra lo studente e il suo docente, il quale spiega perché su determinate aree dell’apprendimento qualcosa non ha funzionato.
Senza voto numerico si può essere anche più severi o drastici nella spiegazione, ma passa il concetto che il giudizio non è legato ad un numero e che non c’è una soglia tra la sufficienza e l’insufficienza.