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Condividiamo l’intervista di Michele Neri a Matteo Lancini per Oggi.

In un’epoca in cui gli adolescenti han- no un bisogno smisurato di aiuto ed esprimono la richiesta nei modi più drammatici – chiusura in se stessi, tentativi di suicidio, atti autolesionistici, abuso di sostanze o di alcol, sfide social sempre più rischiose- troppi ragazzi non trovano chi possa prendersi carico della loro fragilità; anzi devono occuparsi di quella dei genitori.

Parola di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente del più grande centro privato che si occupa di disagio di adolescenti e giovani adulti, Il Minotauro di Milano. In un saggio appassionatamente dalla parte dei ragazzi, Sii te stesso a modo mio (Raffaello Cortina Editore), denuncia come gli adulti si mostrino incapaci di sopportare il dolore dei figli: ne sono spaventati. Piuttosto che guardare dentro l’oscurità, preferiscono sdrammatizzare, impartire divieti, incolpare Internet, social network, videogiochi.

Il disagio giovanile è sempre più diffuso? *Anche prima della pandemia c’era stato un aumento del disturbi: l’era del Covid ha legittimato i ragazzi a chiedere aiuto. Cosa vogliono? che si dia ascolto, dignità alla loro fragilità: di questo parlava la lettera scritta in aprile dagli studenti del Berchet, condivisa da tanti istituti e pubblicata dal Corriere della Sera. Intanto sono in aumento autolesionismo, tentativi di suicidio, anche quelli mascherati da incidenti d’auto, dispersione scolastica, ritiro sociale, il fenomeno degli Hikikomori. Ma come possono chiedere aiuto se hanno paura di deludere 1 grandi e si sentono in obbligo di essere felici per non turbare la pace di mamma e papà?».

Come si manifesta la fragilità dei genitori? Accompagnano i figli a scuola fino al liceo; cercano di sequestrare il loro corpo vietando loro di uscire, e così facendo Li spingono a socializzare in Rete per poi accusarli di essere dipendenti dallo smartphone, introdotto proprio perché l’adulto avesse meno paura durante gli spostamenti del figlio. Quando erano piccoli Il trattavano da adulti, da adolescenti cercano d’infantilizzarli. Pretendono un dialogo e un rapporto basato sull’affetto e poi, alla prima difficoltà, tornano autoritari, dettano regole. Non basta fare gli amministratori delle chat di classe e accompagnarli a scuola o alle attività pomeridiane se, poi, di fronte alle richieste di aiuto dei figli, quando sono in colloquio con me, i genitori parlano solo delle proprie emozioni»,

Può fare un esempio?

«Negli ultimi tempi ci sono stati alcuni casi di suicidio di studenti universitari. Da me sono arrivati ragazzi che raccontavano come parlarne con i propri genitori fosse impossibile: era una fonte d’angoscia troppo grande. Una studentessa, scossa per aver letto di una collega che si era tolta la vita, appena tornata a casa, vede la madre aprire la porta. È rientrata in anticipo dal lavoro, è agitata. Si slancia verso la figlia, l’abbraccia e le domanda se ha sentito cosa è successo. Sostiene che era troppo angosciata per la- vorare e per questo era rientrata a casa prima».

E che cosa non va?

«Non c’è spazio per i sentimenti della figlia».

Scrive che la pandemia è stata un’occasione sprecata.

«Di fronte a quella che è stata considerata la crisi più grave dal dopoguerra, scuola, politica e famiglie, anche quando la situazione si è normalizzata, non hanno parlato abbastanza della condizione umana. E la morte hanno preferito rimuoverla».

Il libro si chiude con un appello: «Forza adulti, è arrivato il momento di avere il coraggio». «Il coraggio consiste nel fare le domande che servono e che non troviamo la forza di fare. Hai mai pensato al suicidio? Con quale frequenza? Che cosa pensi del tuo corpo? E di noi come genitori? Oltre a vietare lo smartphone per la mezz’ora della cena, perché non domandare: oggi, com’è andata in internet? Perché sia un vero ascolto, nell’interlocutore il figlio deve vedere una risorsa, non chi, per la propria fragilità, comunica che non vuole sentire come sta perché saperlo lo disturba».