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Condividiamo l’editoria di Matteo Lancini per La Stampa.

«Hai visto il video di quello che alla festa del proprio matrimonio ha preso in mano il microfono e ha lasciato la futura moglie che lo ha tradito?». Subito dopo aver pronunciato questa frase a un mio amico, e sentito la sua risposta, ho iniziato a tormentarmi. Perché nonostante il video mi avesse reso irrequieto, fatto provare imbarazzo e confermato quanto vado dicendo da tempo sulla nostra società sempre più pornografizzata, mi sono spinto a promuoverne la visione? Mentre continuavo a formulare ipotesi e a interrogarmi sulle ragioni del mio comportamento mi sono accorto che, proprio grazie al video, la notizia era diventata una delle più importanti della giornata e che si stava conquistando uno spazio rilevante su quasi tutte le testate giornalistiche di maggior rilievo.

A questo punto, pur avendo formulato qualche ipotesi sul mio funzionamento affettivo e su quello dell’essere umano spesso attratto dalle disgrazie altrui e dal pettegolezzo, ha prevalso il mio interesse per le ricadute di questa vicenda sulle nuove generazioni, sul ruolo che noi adulti abbiamo nel proporre e promuovere modelli di identificazione che garantiscono visibilità. Questa storia è emblematica di tutto ciò che non dovremmo continuare a proporre. Contiene in sé la sovraesposizione del privato, reso pubblico non solo alla “ristretta” cerchia degli invitati alla festa del non-matrimonio, ma ad una popolazione molto più ampia. Promuove l’idea che svergognare e umiliare l’altro pubblicamente, in maniera fragorosa, garantisca visibilità, anche a chi in teoria non ne avrebbe bisogno, elevandoti a “star” dell’estate. Insegna che invece di accettare, cioè vivere nell’intimità e con il supporto degli affetti più cari, il dolore del fallimento, lo si può trasformare in una manifestazione di successo. La vendetta social-e, che probabilmente l’aspirante moglie e politica saprà riconvertire in un’occasione di visibilità mediatica, non ha risparmiato nemmeno la citazione dei figli dei non-sposi. Tutto ciò che non conoscevamo della vita di questi signori ora è pubblico, online, sulla bocca di tutti. Le verità affettive e degli accadimenti non contano, l’importante è che siano ripresi e postati.

Sempre più spesso prevalgono immagini di adulti che più la fanno grossa, più hanno successo. È la società di internet, delle telecamere-smartphone sempre pronte, sempre in mano a chiunque. Alla prossima challenge giovanile di successo, alla prossima rissa fuori da scuola non sedata dai presenti ma ripresa attraverso lo smartphone, alla prossima vessazione organizzata in classe per poter essere ripresa e pubblicata sui social, mi auguro che non parta il solito refrain sulla condizione giovanile odierna, sull’analfabetismo emotivo adolescenziale e la supposta dipendenza generazionale da internet, smartphone e social. Ah, il mio amico mi ha risposto: «Si, ho visto, mi è bastato il titolo, guardare il video mi sembrava troppo». Forse un altro modo di essere e comportarsi è possibile. Solo partendo dalle nostre fragilità e dall’assunzione di comportamenti responsabili possiamo sostenere gli adolescenti e i giovani adulti ad accettare il fallimento e a costruire un futuro meno pornografizzato.