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Condividiamo l’editoriale di Matteo Lancini per La Stampa.

L’episodio di Gragnano costituisce l’occasione per riflettere ancora una volta sulla fragilità di preadolescenti e adolescenti: in particolare il tema riguarda l’educazione al fallimento, all’inciampo e alle difficoltà.

Oggi la fine del rapporto di coppia costituisce per molti ragazzi e ragazze un avvenimento che non rappresenta solo la fine della relazione ma il crollo del valore di sé. Se quanto è accaduto verrà poi confermato dalla giustizia, ci troviamo di fronte a un episodio in cui la sofferenza determinata dalla fine della relazione toglie senso identitario e porta alcuni ragazzi e ragazzi ad attaccare se stessi fino al pensiero e al gesto suicidale; altri ad esprimere la propria fragilità e disperazione attraverso azioni e parole distruttive e violente che annientino colui che ha sancito la fine della relazione.

Dobbiamo impegnarci in nuove forme di attività educative e preventive che mettano al centro la fine della relazione di coppia che, come è noto, soprattutto in adolescenza, può essere vissuta drammaticamente. Troppo spesso ci focalizziamo sull’idea che il rapporto termini nel momento in cui ci si lascia, mentre dobbiamo lavorare nella scuola per aiutare i ragazzi a fare manutenzione non solo della coppia ma anche della fine della relazione che fa ancora parte del progetto di coppia e va affrontata cercando di dare senso e significato ai motivi dell’interruzione. Cercare di comprendere cosa suscita in noi e nell’altro questa rottura è un nuovo compito che negli interventi educativi e psicologici non era mai stato preso in considerazione e si rivela quanto mai attuale.

C’è un’idea dell’amore che non è più romantico ma narcisista e quindi quando non vivi più nella mente dell’altro è come se la vita perdesse senso e significato a favore del prevalere di aspetti distruttivi che vengono riversati, a seconda delle caratteristiche delle personalità e di contesto, verso di sé o verso l’altro. Internet e i social costituiscono le nuove vie attraverso le quali mettere in atto progetti suicidali o vendicativi; la pervasività della rete poi e la capacità di raggiungere un pubblico ampio, potenzialmente infinito, rende questo mezzo particolarmente adatto per la messa in scena di queste dinamiche, con ricadute drammatiche per chi ne è vittima.

Oggi il potere orientativo dei coetanei, per la diffusione del web e anche per altri motivi, è aumentato a dismisura fino a risultare determinante, marginalizzando gli adulti che non riescono a essere percepiti come interlocutori capaci di sostenere un giovane nella difficoltà e di affrontare il dolore sperimentato. Anche il fatto che inizialmente questi episodi vengano derubricati velocemente come “incidenti”, quando poi si rivelano sempre più spesso tentativi di suicidio o suicidi, dimostra la difficoltà degli adulti di farsi carico delle nuove modalità di soffrire degli adolescenti.

Il dolore rischia così di rimanere muto e diventare gesto, azione conclamata, attacco al sé o all’altro. Questo episodio può essere un’occasione per trattare il tema del suicidio a scuola o in famiglia, troppo spesso rimosso dietro l’ipotesi del tutto non vera e inappropriata che parlare di suicidio istigherebbe le giovani menti a metterlo in atto: è vero esattamente il contrario. Dare possibilità di parlare del suicidio rappresenta una riduzione del fattore di rischio del gesto suicidale di uno o di una adolescente.