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Condividiamo l’intervista di Zita Dazzi ad Alfio Maggiolini per La Repubblica sui recenti episodi di cronaca di risse tra ragazzi e di comportamenti autolesivi.

«Forme di autolesionismo ed esibizione di forza tipiche della nostra epoca, forse anche legate a questo momento complicato che i giovani stanno vivendo per la pandemia». Sono diverse le componenti che stanno dietro ai gravi episodi di questi giorni, dai due giovani che si sfregiano in volto, alle maxi risse di piazza a Gallarate, secondo Alfio Maggiolini, psicoterapeuta e fra i fondatori del centro Minotauro che si occupa di adolescenti.

Maggiolini, lei è anche consulente dei servizi per la Giustizia minorile del Tribunale di Milano, cosa sta succedendo ai ragazzi protagonisti di questi gravi episodi?

«Non conoscendo i dettagli di questa ragazza sfregiata, se è vero che le ferite sono alla bocca, posso solo dire che questo tipo di tagli e di comportamenti autolesivi riguardano di solito braccia, gambe. Le motivazioni di questi gesti di solito sono sofferenze individuali. I comportamenti a volte vengono quasi nascosti. Ci si taglia in parti del corpo non visibili: farlo sul volto deve avere un significato preciso».

Quale?

«Il taglio di solito si fa per alleviare tensioni emotive che attraverso il dolore fisico compensa e prevale sul dolore mentale, e crea un rilascio di endorfine del corpo che funge da autodifesa, dà una sorta di sollievo, Funziona come una autoregolamentazione in persone che hanno disturbi della personalità borderline ».

Qui erano in due e il procuratore dei minori Ciro Cascone mette in guardia dall’effetto emulazione che potrebbe scattare parlando di Joker, il nemico di Batman.

«A volte questi gesti fatti in una dimensione di coppia hanno uno scopo dimostrativo. Nella relazione sentimentale mostrano il dolore, fanno arrivare un segnale di disagio emotivo che l’altro non coglie, sono un modo per colpevolizzare l’interlocutore, come il suicidio. La ferita ha un valore di esibizione molto alto e assomiglia alla manipolazione del corpo».

I piercing e i tatuaggi?

«Sì, segni che in cui non c’è solo il voler comunicare la propria sofferenza, ma nei quali il gesto diventa segno di identità, che non è un capo di abbigliamento. Sul corpo viene scritto chi sono io. Questa è un’onda lunga molto antica. In passato tatoo e piercing erano segni di marginalità sociale, erano di nicchia, oggi sono diventati costume, sono inseriti nella cultura del tempo come fatto estetizzante».

Una coppia di adolescenti può arrivare a questo?

«Poteva essere una prova iniziatica reciproca, che vale come patto di sangue, identità condivisa».

Con questo lockdown i giovani stanno dando di matto sia in coppia, sia collettivamente. I fidanzati si tagliano la bocca, il branco si dà appuntamento in piazza per picchiarsi.

«Io nelle risse ci vedo anche molto desiderio di spettacolarizzare attraverso i media e i social il proprio immaginario, dove lo scontro fisico fra maschi entra come componente evolutiva».

Sono baby gang?

«Non mi pare. Solo i gruppi sudamericani qualche volta avevano la dinamica della lotta fra bande strutturate, con leader e organizzazione gerarchica, riti di iniziazione. Qui invece mi pare siamo in presenza di gruppi di quartiere e aggregazioni spontanee».

I minorenni lo fanno perché sono stufi di stare a casa davanti ai pc a fare lezioni a distanza mentre fuori tutto tace?

«Sicuro c’entrano la noia, la frustrazione, l’assenza di futuro, la paura che non ci sia possibilità di riscatto sociale per chi vive in periferia. Ma in aggiunta c’è la voglia di farsi notare e di conquistare successo e approvazione con l’amplificazione creata grazie alla ripresa e messa in rete delle immagini. Lo scopo, più che sfogarsi e farsi male, diventa proprio quello di mostrarsi ed esibirsi sui social mentre si fanno queste attività.

L’effetto di spettacolarizzazione e di enfatizzazione è importante perché il finire online e farsi vedere da tanti, è un vanto. Questa è la dimensione culturale in cui siamo immersi tutti».