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Condividiamo l’articolo di Francesco Loiacono per Fanpage.it con l’intervista a Matteo Lancini sulla notizia di cronaca della richiesta di bloccare la sere Squid Game in seguito a casi di emulazione tra i ragazzi.

Un contenuto “micidiale per gli utenti più piccoli e i giovani più fragili”. Così viene definita “Squid game”, la serie tv che spopola su Netflix, dalla Fondazione Carolina, onlus creata nel nome della piccola Carolina Picchio, giovane vittima di cyberbullismo. In questi giorni da alcune scuole lombarde ma non solo stanno arrivando segnalazioni di comportamenti emulativi da parte di bambini anche delle scuole elementari: i piccoli imitano i giochi che sono al centro della della serie tv coreana, semplici divertimenti come “un, due, tre… stella” che però in Squid game prevedono un esito mortale per i concorrenti che sbagliano.

La petizione online per bloccare Squid game

Al momento, almeno in Lombardia, il fenomeno resta nell’alveo della generica preoccupazione, senza elementi concreti: alla Procura dei minorenni di minorenni, come risulta a Fanpage.it, non sono arrivati esposti specifici. Ma i timori di alcuni insegnanti, spaventati dopo aver visto i bimbi schiaffeggiarsi, fingere di spararsi con le dita o rovesciare gli zaini dei compagni “per gioco”, hanno portato presto all’effetto “psicosi” e da qui alla richiesta di censura il passo è stato brevissimo: la Fondazione Carolina, con sede legale a Milano, ha infatti lanciato una petizione online per chiedere di bloccare Squid game. “Di fronte allo sgomento di mamme e maestre delle scuole materne non bastano i buoni propositi, ma serve un’azione concreta”, spiegano nell’appello che accompagna la petizione sulla piattaforma Change.org, firmata al momento della redazione di questo articolo da oltre 2.900 persone. La Fondazione specifica che si tratta di una provocazione che “risponde alla necessità di far fronte alla sconfitta dei parental control e alla crisi della genitorialità”. “L’unica soluzione possibile” per difendere il “principio di incolumità dei minori”, spiega l’educatore e segretario generale della fondazione Ivano Zoppi, “sembra la censura vecchio stampo”.

Ma qual è la linea tra l’emulazione ingenua dei bambini e un comportamento che può diventare veramente pericoloso? E davvero basterà cancellare Squid game dal catalogo Netflix per far cessare l’effetto emulazione, o ben presto al posto dei giochi rivisitati della fiction coreana bambini e ragazzi imiteranno quelli dei protagonisti di qualche nuovo “fenomeno del momento”? Si tratta di una questione complessa: in primo luogo, sicuramente Squid game non è una serie per bambini. È consigliata dai 14 anni in su e quindi a un bimbo più piccolo non dovrebbe essere consentito di guardare, da solo e nemmeno con un adulto accanto, questa fiction. Ma una prima domanda da porsi è questa: siamo sicuri che i bimbi che in questi giorni giocano a imitare Squid game nelle scuole di tutto il pianeta (almeno quella parte che guarda Netflix), abbiano visto davvero la fiction?

A porsi questa domanda è anche lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro e docente presso il Dipartimento di psicologia dell’Università di Milano Bicocca. “È chiaro che il tema dell’accompagnamento dell’adulto alla visione di alcuni contenuti è fondamentale e non va banalizzato – dice Lancini a Fanpage.it -. Ma credo che il vero tema è questo: vengono accusati i genitori per aver fatto vedere le trasmissioni, ma il fenomeno è diventato così importante e mediatico che nessuno sa dire se i bambini hanno visto davvero questi contenuti o ne sono venuti a contatto per racconti fatti da terze persone. Non ci si rende conto che abbiamo creato una società che alcuni chiamano pornografizzata dove le esperienze si mischiano continuamente, tra intimo, privato, voci”.

L’esperto: Di fronte alla pervasività del fenomeno, si devono affrontare i contenuti
Non basta, dunque, colpevolizzare i genitori: possono (e dovrebbero) impedire che i figli guardino “direttamente” Squid game (e altri contenuti a loro inadatti), ma non possono impedire che ne vengano a conoscenza dal racconto di un amichetto con un fratello maggiore, o ascoltando una trasmissione apparentemente “innocua” che però parla del “fenomeno del momento”. E allora secondo Lancini, di fronte alla pervasività di un fenomeno come Squid game si deve cogliere più che altro l’opportunità di affrontare i contenuti, le corde che tocca anche nei bambini e negli adolescenti. “Fossi nelle scuole e nei genitori cercherei di capire cos’hanno bisogno di mettere in scena i ragazzi e affronterei assieme a loro questi aspetti. Coglierei i temi della competizione, della morte, della spietatezza della società, delle differenze sociali, che sono probabilmente all’origine del successo di Squid game. La complessità la vedo nell’affrontare queste tematiche facendo una controcultura rispetto alla visione di Squid game, cercando di cogliere quali sono gli aspetti importanti di cui i ragazzi hanno bisogno e sentono la necessità di parlare”. Un approccio dunque che non “colpevolizza” né la serie tv in sé (o un altro prodotto che, come Squid game, dovesse diventare un fenomeno di costume), né i genitori, a volte incolpevoli di fronte a una società che rende impossibile “blindare” anche i più giovani dagli stimoli esterni. Ricordando sempre e comunque che nel caso di bambini piccoli bisogna stare attenti: “Non tanto per il fenomeno emulativo, ma perché è vero che lo sviluppo cognitivo e affettivo di certe immagini deve essere accompagnato in base all’età e ai contenuti. Ma questo dovrebbe valere non solo per le serie tv, ma anche per le immagini vere. A volte i bimbi sono esposti a immagini di morti vere e su quelle si fa poca attenzione”.

Fonte: fanpage.it