Scuole superiori, iscrizioni 2025. Matteo Lancini: «cari genitori, ascoltate i vostri figli. Non è una scelta definitiva, ma l’inizio di un percorso»

Condividiamo l’articolo del Corriere della Sera scritto da Gianna Fregonara con un’intervista a Matteo Lancini.

Scuole superiori, iscrizioni 2025. Matteo Lancini: «cari genitori, ascoltate i vostri figli. Non è una scelta definitiva, ma l’inizio di un percorso»

di Gianna Fregonara
Parla lo psicologo e psicoterapeuta presidente di «Minotauro»: Si dà troppo peso a questa decisione, ma ciò che conta sono i professori e i compagni, non le materie che si studiano

«Quella della scuola superiore è una scelta generalmente investita di un significato eccessivo, come se fosse la scelta decisiva e definitiva sul futuro dei propri figli. Ma non è così: questo è l’inizio di un processo decisionale, che va monitorato e che avrà molti passaggi nella vita degli studenti». In questi giorni in cui si aprono le iscrizioni a scuola, Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta esperto di adolescenti e presidente della Fondazione «Minotauro», invita alla calma e all’ascolto.
Eppure, quella delle scuole superiori, è la prima scelta che apre e chiude delle strade.
«Sì, ma si tende a dare un peso eccessivo a questa decisione, come se potesse mettere il proprio figlio sulla strada giusta e al riparo dall’insuccesso. Nella realtà più che la scuola, intesa come indirizzo, quello che conta sono altri aspetti».
Quali?
«Il gruppo classe, per esempio, cioè i compagni. Poi il collegio dei docenti, cioè gli insegnanti. Ho visto studenti che andavano male in una classe che poi, spostati nella sezione a fianco, sono andati dritti alla maturità senza problemi».
Gli studenti spesso non hanno voce in capitolo nella scelta del proprio futuro: a quattordici anni neppure loro hanno le idee chiare.
«I figli invece vanno ascoltati in questo passaggio. Questo non vuol dire che scelgano loro o che si scelga soltanto in base a quello che dicono. Ma va capito che cosa rappresentano le loro considerazioni. Una risposta comune dei ragazzi è la richiesta di andare nella scuola dove vanno gli amici. Non è detto che questa domanda debba per forza influenzare la scelta, ma deve essere tenuta in conto nel processo decisionale: è una richiesta di essere sostenuti nell’ingresso nel nuovo ambiente. Se noi non ascoltiamo per niente i ragazzi li deresponsabilizziamo. E’ facile che così subiscano la scelta e poi ci vengano a dire: la scuola non mi piace, vado male perché tu, genitore, hai scelto la scuola sbagliata, è colpa tua».
Secondo lei andrebbe rinviato il momento della scelta, magari quando gli studenti sono un po’ più grandi e hanno le idee un po’ più chiare?
«Quello che bisognerebbe fare è accompagnare i ragazzi in questo percorso. Non dire: è finita la pacchia, adesso sì che dovrai studiare! La scuola per un adolescente dovrebbe essere il posto dove diventa se stesso, dove scopre le sue passioni e i suoi talenti. Purtroppo, è successo anche a me, il più delle volte si capisce che cosa si vuol fare dopo che ci si è laureati…»
Da qualche anno con gli open day e con le ore di orientamento, oltre che con il giudizio dei professori, la scuola tenta di aiutare le famiglie nella decisione.
«Per fortuna non siamo la Svizzera, dove è la scuola sulla base delle valutazioni e dei compiti in classe che decide chi può andare all’università e chi no. Vent’anni fa mi chiamarono in una fiera dell’orientamento a Busto Arsizio. Da una parte c’erano le famiglie e gli studenti, dall’altra c’era la fiera del matrimonio con bomboniere e vestiti da sposa. Erano tutti a guardare le scuole, come se fosse una questione di marketing. Mi ricordo che c’era un istituto tecnico che aveva portato un motore e quattro studenti vestiti come i Take that che montavano e smontavano il motore…»
E tutti i ragazzi volevano iscriversi a quella scuola.
«Ovvio, un bel prodotto, ma la realtà è un’altra: la scelta alla fine non sarà né giusta né sbagliata, ma un po’ giusta e un po’ sbagliata e non garantisce un bel niente. Ma durante il percorso si può correggere».
Lei dice che non è una scelta definitiva. Eppure la scelta tra liceo e istituto tecnico ancora oggi rischia di segnare il destino di uno studente.
«Il sistema, che funziona male, carica i genitori di aspettative. La maggior parte cerca una scuola che porti all’università. Sfido qualunque genitore a non voler garantire l’università al proprio figlio. Ma di nuovo: ho visto giovani dei licei che non arrivano a laurearsi, perché ad un certo punto si stufano o si perdono, e ragazzi degli istituti tecnici fare un bel percorso all’università».
E se alla fine si è fatta la scelta sbagliata, come bisogna comportarsi?
«La scelta della scuola, fatta in momenti diversi, dà risultati diversi. Ma anche decidere di cambiare scuola perché il proprio figlio va male, va fatto in maniera sensata. Se si lascia a metà anno può essere un fallimento, magari finire l’anno e poi cambiare può dare una motivazione diversa».