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Riportiamo l’intervista a Matteo Lancini pubblicata su Donna Moderna del 06/11/2015 sulla sospensione di 23 studenti di un istituto di Torino che in classe e negli spogliatoi della palestra scattavano foto e giravano video con i loro cellulari.

Ne hanno parlato tutti i giornali: alla scuola media Mario Costa di San Francesco al Campo (Torino) la preside ha sospeso 23 alunni che, in classe e negli spogliatoi della palestra scattavano foto e giravano video. Niente di scabroso ma erano immagini riprese di nascosto e contro le regole: come in tutte le scuole italiane, infatti, ai ragazzi è vietato entrare in classe con il cellulare. Ed è subito polemica: da una parte la dirigente, che difende la punizione esemplare come mezzo per far comprendere l’errore agli alunni. Dall’altro le famiglie, alcune delle quali in rivolta perché, avendo chiesto di vedere le immagini incriminate, la preside avrebbe violato la privacy dei ragazzi. E, mentre gli adulti litigano, i ragazzi sono disorientati.

Primo: non sappiamo far rispettare le regole

«La prima riflessione da fare è: se è vietato andare a scuola con il cellulare, perché tutti i ragazzi lo portano? Il punto è proprio questo, e riguarda tutte le scuole. Si fissano le regole, ma poi non si è in grado di farle rispettare. Magari per non entrare in collisione con le famiglie che, invece, vogliono poter controllare i figli. Così però l’istituzione perde di credibilità» commenta Matteo Lancini, psicoterapeuta esperto di adolescenti e presidente della Fondazione Minotauro di Milano.

Secondo: abbiamo paura della tecnologia?

«C’è però un altro aspetto molto importante su cui riflettere. La nostra scuola mostra un atteggiamento ambivalente verso la tecnologia: condanna il telefonino ma, poi, vuole essere connessa e fa lavorare i ragazzi con Lim, pc e tablet.  E allora bisogna decidersi: la tecnologia deve restare dentro o fuori dalle aule?». L’obiezione, naturalmente, è che pc e tablet servono per studiare, fare ricerche, preparare presentazioni. Mentre il cellulare è solo una fonte di distrazione. «Siamo proprio sicuri che sia così?» domanda Lancini. «Vietare il cellulare vuol dire dargli il valore di un oggetto trasgressivo, da tenere nascosto. Quindi molto più attraente dell’insegnante che sta facendo lezione in quel momento. Ma quando, come è accaduto in alcune scuole, si permette ai ragazzi di portarlo e addirittura tenerlo sul banco e usarlo (magari per cercare il significato di una parola), ecco che viene smitizzato, diventa ciò che è: uno strumento. E i ragazzi tornano a interessarsi a quello che dice il prof. Per gli adolescenti, non dimentichiamolo, la relazione conta sempre più della tecnologia». Al momento, però, attorno al cellulare si è concentrato lo scontro tra scuola e famiglie.

Terzo: scuola e famiglia devono collaborare

«La terza riflessione riguarda il coinvolgimento dei genitori nella vita della scuola. In genere funziona molto bene all’asilo e alle elementari. Poi, alle medie, si perde. Non è un caso che i conflitti scuola-famiglia comincino a esplodere proprio in quel periodo degli studi» spiega Matteo Lancini. «Ora, per tornare al caso della scuola media piemontese, posto che la sospensione mi sembra più una dimostrazione di debolezza che non autorevolezza, quella comunità ha adesso una preziosa occasione: trasformare lo scontro in un’opportunità di crescita di tutti, insegnanti, genitori e alunni».